MostreIN “MOMENTI” ALL’ADAFA LA FILOSOFIA DI ROBERTO BEDANI (Giovanni Borsella) Una mostra ricca di stimoli a riflettere sul mistero del tempo, su questo segmento dell’eterno; un segmento sbriciolato in “Momenti”, “atomi” della drammatica realtà dell’esistenza. Seduto nel parco di Copenhagen, S. Kierkegaard ebbe la percezione dell’eterno che lo indusse a diventare non un normale poliziotto, ma “poliziotto dell’anima”: le sue opere (“Aut-Aut”, “Timore e tremore”, “Il concetto di angoscia”, “Postilla conclusiva…” hanno fecondato il miglior pensiero della contemporaneità colpendo mortamente l’hegelismo). Numerosi sono i “momenti” di grandi spiriti che hanno ritmato la successione delle epoche; il “momento”, nella sua densità esperienziale, ritma l’esistenza di chiunque con visioni destinali e apocalittiche. L’arte di Roberto Bedani necessita di questa sua e nostra esperienza del tempo che ingoia gli attimi e tutto ciò che è. Partendo da potenti suggestioni dell’impressionismo, porta a conseguenze apocalittiche la visione ( e la tecnica) della disfatta“cattedrale di Rouen, pieno sole, armonia blu”di Claude Monet. I quadri di ”Momenti” ben disposti negli spazi dell’ADAFA in via Palestro, non possono avere una didascalia per il loro carattere visionario; la loro sequenza è una visione complessiva del tempo come in Eraclito: in apparenza spietatamente irrevocabile simile al fluire dell’acqua. Già nel primo quadro gli effetti devastanti del tempo che sgretola le rocce, seguito dall’ombra colorata di una fortezza sgretolata su un’isola, che si specchia nell’acqua confondendo realtà oggettiva ed immagine rispecchiata; lo stesso in una visione di Piazza Duomo a Cremona: un sinistro edificio a sinistra, il profilo del torrazzo della nebbia e le torrette del Duomo, il tutto chino su una piazza ghiacciata: sul proscenio due figure umane pure loro sgretolate. Addirittura l’accoppiata di figure umane e quarti di bovini in una macelleria esprime il traguardo di una ideologia che, svincolata dalla Trascendenza, cosifica tutto, perfino il sé delle persone, le loro opere producendo un conglomerato colorato( tremenda è l’ironia di Cristo incoronato di spine tra due “sindaci”-ladroni; il ritratto del vescovo Antonio con il guizzo della sua “astuzia”) Nell’autodistruzione dell’esistente-senza-senso, solo le visioni della natura con le sue tonalità rallentano il loro disfacimento… fatale. Ma in ogni “Momento” Roberto Bedani “vede” e riproduce una fonte luminosa: luna o sole, a seconda della scena diurna o notturna, una Luce ancor più reale, che relativizza nulla come superficiale: sua non è l’ultima parola come in Bacon. Lo sguardo di Bedani perfora così la realtà fino al suo fondamento creaturale. Per questo gode di estimatori capaci di riflettere. I segreti dell'Altare di San MicheleE' ritornata davanti l'opera di Giulio Campi, ma si susseguono le proposte, alcune fantasiose, per poter mostrare contemporaneamente i capolavori svelati La più suggestiva è quella di un costoso prisma ottico che consentirebbe una loro visione senza spostare la tela - Nuove ipotesi sulla attribuzione degli affreschitesto e foto di Sandro Rizzi
Non Bonifacio Bembo ma Antonino Pavese...
Sono in continua evoluzione gli studi sul ciclo di affreschi trecenteschi riscoperti dietro l’altare di San Michele. L’antico gioiello pittorico medioevale è suddiviso in cinque fasce principali che coprono un periodo identificato tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. La nuova scoperta riguardala fascia raffigurante la ‘Gloria di Cristo e della Vergine’ , proprio al di sotto del cornicione centrale, inizialmente attribuita secondo lo storico dell’arte Puerari a Bonifacio Bembo e databile quindi alla seconda metà del Quattrocento. Recenti riscontri hanno rilevato una forte affinità e correlazione con alcuni affreschi della sacrestia della chiesa di Santa Lucia. Questa analogia ha aiutato gli esperti nella datazione del trionfo di Gesù e della Madonna, risalente quindi alla prima metà del Quattrocento e attribuibile alla cerchia di Antonino De Ferrari detto anche “Antonino Pavese”. E’ possibile pertanto ritrovare una precisa sequenzialità temporale tra tutto il ciclo, riconfermando una delle ipotesi iniziali che riteneva la zona di affreschi più bassa del ciclo più recente rispetto alla parte alta, contrariamente a quanto succede di solito. L’ipotesi potrebbe essere anche sostenuta dal fatto che l’intonaco della parte inferiore è più superficiale rispetto a quella della parte alta, mentre nelle parti dove sono presenti le travi di legno di appoggio ci sono frammenti di affresco uguali a quelli della zona più alta. Il continuo lavoro di ricerca degli storici d’arte va di pari passo con l’incessante interesse e stupore dei turisti e della cittadinanza cremonese per i lavori di restauro. Per far fronte alle curiosità dei visitatori durante l’anno, sono state quindi prolungate le date di visione degli affreschi, sia nel periodo natalizio che pasquale, oltre alle date già previste del 29 Settembre (S.Michele), 13 Novembre (S. Omobono) e 30 Dicembre (data di fondazione dell’Oleificio Zucchi SpA).
Un gioiello pittorico medioevale in Cattedrale. C’è voluto un anno di lavori per ricuperare tre fasce di affreschi che erano nascoste dietro i muri di sostegno della facciata dell’altare di San Michele (transetto nord, quello a sinistra guardando l’altar maggiore). Ma ne è valsa la pena: il ciclo restaurato è una sintesi della storia figurativa locale e copre un periodo tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. A detta degli esperti, è il ritrovamento più importante in Lombardia degli ultimi trent’anni.
Per celebrare i 900 anni del Duomo, già molte sono le opere realizzate: la nuova illuminazione, i restauri delle cappelle del Santissimo e della Madonna del Popolo Poi si è passati a quella di San Michele, che racchiude una splendida tela di Giulio Campi: l’Arcangelo Michele che uccide il maligno (1565). Tolta la tela (che non aveva bisogno di restauro), si è passati alla struttura della facciata, ricoperta da un intonaco ottocentesco che nascondeva i materiali originari (stucchi chiari, oro steso a lamine, lacche rosse). Le murature di sostegno della facciata si appoggiavano proprio sul ciclo di affreschi trecentesco e ne impedivano la visione completa. Seguiti da monsignor Achille Bonazzi, responsabile dei beni culturali della diocesi, e dall’architetto Marco Fasser, della Soprintendenza di Brescia, hanno guidato i lavori gli architetti Eugenio Bettinelli, Lorenzo Jurina e Franco Cristofoletti, con restauratori e personale specializzato. Messa in sicurezza la facciata con un ponteggio ancorato a due pilastri, si è cominciato a rimuovere i muretti di sostegno: impresa più ardua del previsto. Perché sembrava che i muri fossero due invece erano sei. Angusto, anche meno di un metro, lo spazio per muoversi. Infine, con pazienza da certosini, si è arrivati a liberare gli affreschi. E a restaurarli. Quello che adesso si ammira è un eccezionale esempio della stratificazione che ha caratterizzato la costruzione progressiva, nei secoli, della principale chiesa della nostra città. A far cadere il velo per scoprire il gioiello è stato Vito Zucchi, sponsor del restauro per celebrare i 60 anni della sua azienda come società per azioni (ma la famiglia aveva un oleificio già all’inizio dell’800). Nella fascia più bassa, a grandezza più che naturale, si vedono, da sinistra, l’Arcangelo Michele con in mano una bilancia che schiaccia il maligno, la Vergine con il Bambino, Sant’Aquilina, Santa Caterina d’Alessandria, Sant’Agata. Nella fascia centrale, le virtù, a sinistra la Fede, a destra l’Umiltà, con gli stemmi della famiglia Ala, committente dell’opera. Al di sopra, elemento centrale, l’incoronazione della Vergine e di Cristo contornati da angeli, poi a sinistra Sant’Omobono con un povero ai suoi piedi, un nobile probabilmente degli Ala, un devoto, un altro nobile. In alto, due figure in quello che sembra un cielo azzurro stellato. Una delle maggiori novità è la presenza di Sant’Omobono: quella ritrovata è la più antica rappresentazione del Santo in affresco esistente in cattedrale. Omobono Tucenghi, “padre dei poveri”, “uomo buono di nome e di fatto” morì il 13 novembre 1197 e, primo laico, fu iscritto nel catalogo dei Santi nemmeno due anni dopo. A lui e a Santa Maria Assunta fu dedicata, nel 1592, la cattedrale. Nel 1643 il Consiglio della città lo volle come patrono della città stessa. “Un Santo laico, eletto come patrono dai laici stessi”, scrisse Giovanni Paolo II al vescovo Nicolini nel 1997, per l’ottavo centenario della morte. Gli affreschi (e il video) sono visibili per poco. Prevalentemente è situata sull’altare la tela del Campi che “nasconde”di nuovo gli affreschi. Come si potrà conciliare la visione di entrambi i tesori? Lo sponsor chiede l’esposizione degli affreschi almeno tre volte l’anno. Monsignor Bonazzi e gli architetti studiano una soluzione, o tecnica o “a turni”. La soluzione più suggestiva studiata dall'architetto Bettinelli è di installare un prisma orientato in vetro ottico che consentirebbe di "esplorare" in ogni momento gli affreschi dietro alla tela. Una soluzione tecnica possibile, ma particolarmente costosa. Altra soluzione, sostrengono altri tecnici, non sappiamo con quale effettiva compatibilità con la tutela della importante tela di Giulio Campi, sarebbe quella di poter aprire, ovviamente con le dovute precauzioni, come se fosse una persiana, la tela stessa, il che imporrebbe però alcuni aggiustamenti nella architettura della cappella. Altra ipotesi sarebbe un sistema a binario retraibile, per poter portare in avanti la tela e consentire più facilmente la visione degli affreschi retrostanti.
La pagina è aggiornata alle ore 18:25:11 di Ven, 7 ott 2016
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