Un grande affresco assai poco esplorato anche in passato, con qualche clamoroso errore di attribuzione - Rimette in ordine la storia lo studioso cremonese Marco Tanzi
Il calendario annuale di Mino Boiocchi ha messo l'accento nel 2010 su una grande presenza artistica cremonese fino ad oggi poco esplorata. Eccone la lettura che ne fa Marco Tanzi.
Un ammonimento: il problema più urgente e indifferibile è lo stato di conservazione ammalorato e precario del murale, che merita più circostanziate premure cui faccia seguito uno sforzo di maggiore visibilità e un'adeguata illuminazione che evidenzi i pregi e le crudeltà di un capo d'opera del manierismo internazionale che Cremona ha troppo trascurato
di Marco Tanzi
La chiesa di San Pietro è uno scrigno raro e ancora poco conosciuto dell'arte cremonese: esaurita la stagione nei Campi, il cantiere dei canonici lateranensi rappresenta per la pittura dell'ultimo Cinquecento l'equivalente di quello di San Sigiamondo per gli anni trenta quaranta. Il testimone lo passa Antonio Campi con due prove magistrali di illusionismo prospettico nella volta della sagrestia, 1575, e nei due bracci del transetto, 1575-1579.
Il seguito è affidato a Giovanni Battista Trotti detto il Malosso, il principale pittore cittadino nel passaggio tra i due secoli: è lui che nel 1587 inizia la decorazione della navata nella prima campata. Qualcosa, però, cambia presto negli indirizzi di gusto dei canonici, che aprono a nuove esperienze puntando su artisti forestieri.
Per le pale d'altare si rivolgono a celebri maestri veneti: oggi queste tele non ci sono più, il Martirio di san Nicolò del vicentino Alessandro Maganza è finito in San Martino a Viadana, il Martirio di santa Caterina del ferrarese Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino e in San Massimo a Verona, mentre il Martirio degli abitanti di Jppooa (?) di Palma il Giovane, pagato nel 1590 uno sproposito, è nel Musée Fabre di Montpellier.
Si cercano fuori Cremona anche i frescanti: nel 1595 l'abate commissiona al marchigiano Giorgio Picchi, fra i protagonisti dei cantieri vaticani nell'ultimo quarto del secolo, la decorazione di tutta la chiesa da realizzare entro tre anni, cancellando anche la prima campata da poco affrescata dal Trotti. Picchi però si limita all'abside e al presbiterio con il Martirio e le Storie di san Pietro: gli affreschi di Malosso sono salvi e Ermenegildo Lodi prosegue mimeticamente l'impresa del maestro nella navata tra 1614 e 1617.
Il Giudizio universale della cupola, invece, appare ora firmato da un inesistente Giorgio Lamberti nel 1607: nel 1603 però viene pagato per il lavoro Orazio Lamberti, mentre le guide locali inventano un Giorgio Lamberti "fiorentino" come autore di cupola e presbiterio. La confusione delle fonti settecentesche verso due cicli di pittori non cremonesi ha favorito l'abbinamento del nome dell'uno al cognome dell'altro. Se il 15 luglio 1603 c'è il saldo finale a Orazio, l'iscrizione "Georgius Lamberti 1607", illeggibile da terra perché nascosta dal cornicione, è il frutto sgrammaticato di una ridipintura più tarda, un po' come era successo alla firma di Boccaccino nell'abside del duomo: il restauro potrebbe restituire un più corretto "Horacius Lambertus MDCIII".
Orazio Lamberti da Cento è l'Orazio ferrarese "dipintore in Asola" ricordato nella bottega di Bernardino Campi, pittore poco dotato nelle tele giovanili di Ostiano (1577), Cento (1579) e Montichiari (1584), che evidentemente migliora con il tempo. C'è un buco non indifferente nella cronologia, oltre un decennio, che potrebbe spiegare molto dei suoi progressi, visto che a partire dagli anni novanta gli sono affidate commissioni di prestigio: a Cremona la cupola di San Pietro e la biblioteca di Sant'Agostino (1595-1596).
Le ricerche di Prisco Bagni a fine Novecento gli hanno restituito una precisa identità anagrafica (Orazio è battezzato a Cento il 29 maggio 1552, si trasferisce ad Asola prima del 1576 e muore a Mantova il 15 luglio 1612), facendo luce su opere perdute nel casalasco - Vicomoscano e Casalmaggiore - e su lavori ancora esistenti a Mantova, in palazzo Guerrieri e in duomo.
La decorazione di casa Guerrieri, 1597-1600, offre una nuova prospettiva stilistica dell'artista, suggestionato da Antonio Maria Viani e dalle novità del manierismo internazionale importate dal soggiorno monacense di quest'ultimo. Nel 1605 Orazio scrive al priore di Santo Stefano a Casalmaggiore di non potersi liberare prima dell'aprile 1606, perché "impiegato in altre opere nel Duomo di Mantoa"; proprio 1605 si legge nell'arco centrale che precede la cupola: gli affreschi della cupola del duomo di Mantova sono di Lamberti.
Torniamo in San Pietro a Cremona. Il pittore centese rivela suggestioni formali di matrice mantovana - ma non solo - nella cupola, per la quale esistono straordinari disegni preparatori a Praga e a Tephire in Moravia. Il precedente più immediato del Giudizio universale è infatti la vorticosa Allegoria della Redenzione affrescata da Viani a stretto contatto di gomito con Orazio proprio nel Duomo di Mantova, insieme ad altre componenti centroitaliane articolate, ma non c'è ragione di riferire l'impresa di San Pietro ad Antonio Maria Viani. Il Giudizio è pagato a Lamberti, che lo firma, mentre Viani non ha nessun documento che lo colleghi al cantiere cremonese, direttamente o indirettamente. Inoltre i bellissimi disegni cechi a gesso rosso su carta azzurra preparatori per la cupola, non sono della stessa mano di quelli eseguiti da Viani, sempre a gesso rosso ma su carta bianca, per la cappella Petrozzani in Sant'Andrea a Mantova.
La cupola è a suo modo un capolavoro di invenzione e di realizzazione pittorica, ma è stata vista con una sorta di localistica insofferenza per i fatti artistici non strettamente cremonesi, un corpo estraneo alla nostra cultura figurativa alla stessa stregua di Giorgio Picchi. Questo spiega il sostanziale disinteresse o le citazioni occasionali per due cicli pittorici di straordinario interesse.
Bisogna tornare a guardare il Giudizio universale di Orazio Lamberti: la temperatura stilistica e la tenuta qualitativa dell'affresco rivelate dalle fotografie attendono ancora di essere pienamente valorizzate. Bisogna anche capire anche quanto Picchi abbia lasciato in eredità a Lamberti in queste invenzioni magiche e macabre: senz'altro la tavolozza smagliante e ricca di contrasti aridi e di cangianti raffinati di matrice baroccesca non deriva al centese solo dalla consentaneità e dalla frequentazione di Viani. Il problema più urgente e indifferibile, però, è lo stato di conservazione ammalorato e precario del murale, che merita più circostanziate premure cui faccia seguito uno sforzo di maggiore visibilità e un'adeguata illuminazione che evidenzi i pregi e le crudeltà di un capo d'opera del manierismo internazionale che Cremona ha troppo spesso trascurato.