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Una brillantissima conferenza di Flavio Caroli in sala Maffei

La pittura incamminata nella fisiognomica, psicologia e psicanalisi

di Giovanni Borsella

All’appuntamento con Flavio Caroli in Sala Maffei è accorso un pubblico non solo di habitués delle mostre e “lezioni” , ma la maggior parte dei presenti era “gente comune”: quella che si ritrova sempre dove “fiuta” qualcosa di valido, senza badare al circuito culturale promotore.La si ritrova - per esempio - in Cattedrale, al Filo, all’Adafa o in Sala Quadri. (segue)

Quando Flavio Caroli si immerge in un nuovo lavoro (e lo fa ogni anno) si concentra nel suo “buen retiro” a San Martino del Lago, nell’abitazione che fu della sua amata Sofonisba Anguissola; qui nel cremonese si è così formato un nutrito gruppo di estimatori che lo hanno confortato nelle sue intuizioni di storico dell’arte e della cultura europea, apprezzandone lo stile espositivo, godibile istruttivo e stimolante.
Chi ha avuto la fortuna di vivere serate con lui e la dolce sposa, come mi è spesso capitato, sperimenta come un’idea tiri l’altra in un crescendo di considerazioni, angolazioni, possibilità interpretative e aneddoti da arrivare all’alba senza accorgersene. Mario Silla, Lidia Azzolini , Antonio Leoni possono confermare la valenza di queste nottate indimenticabili.

In Sala Maffei, in occasione della presentazione del suo ultimo libro “Anima e volti. L’arte dalla psicologia alla psicanalisi” , edito da Mondadori, Caroli si è ritrovato con la “sua famiglia” alla quale ha offerto una sintesi delle sue ricerche specialistiche, culminate in una delle mostre più belle e più frequentate di Palazzo Regio a Milano: “l’Anima e il Volto. Ritratto e fisionomica da Leonardo a Bacon”, nel 1998.
Costretto dalla professione di docente di storia dell’arte, Caroli si è dotato di una tale cultura interdisciplinare da offrire a chi lo frequenta o legge le tre decine di volumi , i suoi tre romanzi, una cornucopia non solo di visioni storico - artistiche, scorci storici, ma di vita palpitante grazie alla sua capacità evocativa ereditata da Roberto Longhi, perfezionata poi dalla sua empatia sorprendente.
La trama del suo discorso: a fine 1400 l’arte compie una vita di 180°: dallo spazio infinito esterno, dal dominio del mondo visibile, si cala nell’interiorità dell’animo umano, il più abissale degli abissi, giù giù fino ad arrivare all’oggi estremamente problematico; l’interiorità è sconfinata, però esprimibile in figura, dietro la quale c’è sempre un pensiero pre- concettuale, destinato ad essere teorizzato ed espresso come realtà - verità.

Tutto ciò è una delle principali caratteristiche della nostra civiltà occidentale, erede di Atene, di Roma e soprattutto di Gerusalemme: infatti l’Incarnazione (Caroli ha dedicato un volume a “Il volto di Gesù” - 2008) ha rivelato una interiorità che addirittura si immerge nel divino come anche nel demoniaco, rivelando la nostra essenza: la libertà.
Il romanzo più bello e ancora insuperato dopo 1600 anni è “Le confessioni” di Agostino.
Nell’esemplificare le tappe della pittura incamminata verso la fisionomica, la psicologia e la psicanalisi, Caroli è partito dal disegno del “guerriero” della Battaglia di Anghiari di Leonardo (1503), concludendo coi nostri contemporanei: di Anselm Kiefier “ Dein goldenes Haar”, di Omar Gallieni “Amanti”, offrendo generose manciate di particolari della quotidianità degli artisti, quelle che lui, Caroli, chiama le “parentesi”.
Laura Carlino: “Oltre a stimolare la riflessione, Caroli ha un lessico che supera di gran lunga il suo grande Maestro”.



Un volume fondamentale alla scoperta di un sistema
per il 45 - 50 % ancora ignoto

É quanto ha affermato Carlo Arturo Quintavalle a proposito dell'opera di Achille Bonazzi, preludio a un secondo volume di approfondimento e di esame dei molti quesiti ancora insoluti del Duomo


Per quanto don Achille Bonazzi si sia sforzato si sottolinearne i limiti, è uscito un volume fondamentale per la conoscenza del Duomo di Cremona nel quale si ripercorrono i lavori compiuti in venti anni di restauri. L'opera prelude ad un secondo volume sulla Cattedrale di Cremona che sarà coordinato da Carlo Arturo Quintavalle e che cercherà di rispondere ai numerosi ed anche troppi quesiti ancora aperti sullo straordinario monumento cremonese che - ha detto proprio Carlo Arturo Quintavalle- presenta una tale quantità di elementi da scopire o da studiare, da poter affermare che il 45- 50 per cento della Cattedrale di Cremona è un sistema ignoto. A conferma ecco due straordinarie immagini, una di copertina, l'altra nel volume, colte e si può dire persino scoperte, dall'impegno fotogafico di Giuliano Regis all'interno del grande rosone. Stipata la sala Bolognini per la presentazione ed ecco i protagonisti nella foto piccola, da sinistra Lia Bellingeri, Carlo Arturo Quintavalle, il vescovo di Cremona Dante Lafranconi, mons. Achille Bonazzi. Nel libro i contributi di Lynn Picther, Giuseppe Zanichelli,Lorenzo Jurina, Marco Tanzi, Giorgio Bonsanti, Lia Bellingeri, Tiziana Benzi, Amedeo Belli, Stefania Terenzoni Carlo Monti, Elisabetta Bondioni, Luciano Roncai,ed altri per le parti tecniche e i problemi strutturali. Qui sotto, ampio stralcio di come Achille Bonazzi ha presentato il suo lavoro, con altre immagini. Da segnalare che quando ha compiutamente parlato della casa del Signore e del suo rapporto col Duomo, don Bonazzi ha trattenuto a stento le lacrime. Davvero una passione ispirata dall'Alto.


Le sorprese, le difficoltà e le gioie sotto lo sguardo del Signore

di Achille Bonazzi

Ecco l’occasione significativa per parlare della realtà religiosa, storica ed artistica del monumento più significativo per la città e la Diocesi, che è il nostro Duomo.

1.     LE PREMESSE

Devo confessare di essere un po’ emozionato, considerando la distanza culturale tra il sottoscritto e coloro che hanno scritto prima di me sulla cattedrale: i cremonesi Alfredo Puerari, Mons.  Franco Voltini, il prof. Valerio Guazzoni, ma anche i proff. Quintavalle e Calzona dell’Università di Parma; mi sono impegnato sulla base delle competenze personali accumulate in questi quasi trent’anni sul restauro dei beni culturali, una disciplina che  contemporaneamente ho insegnato anche all’Università, ma di cui ho fatto esperienza soprattutto nel cantiere del nostro Duomo.

Preciso che si tratta di un libro sui restauri, non di un libro di storia o di storia dell’arte, anche se vi hanno contribuito alcuni storici dell’arte come – in ordine alfabetico – Lia Belligeri, Giorgio Bonsanti, Marco Tanzi, Giusy Zanichelli. Avevo previsto anche l’apporto di altri, che all’ultimo momento hanno declinato l’invito: ne ho preso atto con dispiacere. Anche per questo motivo il libro, deciso a fine giugno scorso, non è del tutto come lo avevo pensato.  

Anzitutto presenta alcune incoerenze, incoerenze volute intenzionalmente, a partire dalla foto di copertina, scattata dell’amico Giuliano Regis: una scultura di Giacomo Porrata presente nel grande rosone in controfacciata (1274), che non è mai stata restaurata, scelta proprio a introdurre un libro sui restauri. Ma ho voluto scrivere e curare il libro  anche con l’obiettivo di far conoscere una cattedrale diversa dal solito, nuova per diversi aspetti. Perché proprio gli ultimi restauri – quelli cui ho partecipato personalmente a partire dal 1995 – hanno messo in evidenza aspetti nuovi, non conosciuti dai cremonesi.

Il libro è stato realizzato con i minuti contati – la decisione del Comitato risale alla fine dello scorso giugno e si doveva concludere il libro entro dicembre – senza togliere nulla ai lavori d’Ufficio e senza contare su una grande disponibilità finanziaria: ad esempio la documentazione fotografica, per la maggior parte, è stata realizzata con la macchina fotografica dell’Ufficio, pur con il contributo elevato dal punto di vista professionale di Giuliano Regis e di Pietro Diotti.  Ne è scaturito un libro che, almeno nelle intenzioni, non fosse riservato ai soli fruitori di una banca, come le ultime pubblicazioni di questi anni:  Cariparma nel 2007 proprio nell’anno del centenario e Banca del Credito Cooperativo del Cremonese nel 2001, ma un libro che, attraverso una Casa Editrice prestigiosa come SKIRA, potesse raggiungere tutti i cremonesi – è in libreria -, ma soprattutto per quanti vorranno conoscere, anche lontano da Cremona, qualcosa della nostra splendida cattedrale.

In questo impegno mi è stata di prezioso aiuto la dott. Francesca Campana, segretaria dell’ufficio, che ha dovuto  dar fondo alla sua pazienza e alla capacità puntigliosa del mettere in ordine.  

GLI OBIETTIVI

Sono due gli obiettivi fondamentali che il libro intende  perseguire:

·      Fare memoria storica degli interventi di restauro realizzati in questi ultimi vent’anni perché una corretta manutenzione ordinaria, un futuro ulteriore intervento, che auspico il più lontano possibile deve fondarsi su questo tipo di conoscenza: materiali, tecnica…: la dott.ssa Bellingeri, che ringrazio, ne ha illustrato le vere motivazioni.

·      Se confrontata con quella di vent’anni fa, oggi la nostra è una cattedrale diversa: più luminosa, più leggibile, più conosciuta; anche se molto ancora rimane da fare. Penso ad esempio al recupero del ciclo cinquecentesco: oggi, a distanza di oltre 15 anni dall’ultimazione dei lavori – si era alla vigilia delle celebrazioni dell’VIII centenario della morte di S. Omobono - , si può davvero apprezzare l’intervento, nonostante le inutili polemiche di quel tempo, soprattutto se lo si raffronta con la situazione attuale di altri restauri realizzati in quegli anni – controfacciata della Chiesa di S. Bassiano in Pizzighettone con gli affreschi di Bernardino Campi o la Cappella Cavalcabò di S. Agostino affrescata da Bonifacio Bembo, o, ancora, l’affresco del Sojaro nel refettorio di S. Pietro al Po che è già stato di nuovo restaurato -. La scoperta della datazione – 1430 – del ciclo degli affreschi delle volte dei transetti, così che il ciclo trecentesco è diventato quattrocentesco e la prof. Giusy Zanichelli ha potuto contestualizzarlo meglio in rapporto al tempo e all’ambito culturale nel quale il ciclo è stato realizzato

Il recupero delle Cappelle del Santissimo Sacramento e della Madonna del popolo ha messo in evidenza il raffinato barocco del Duomo, anticipato dall’altare di S. Michele, opera di Giulio Campi che è l’autore non solo della pala che raffigura il Santo, ma anche dell’ancona dell’altare a base di stucchi e dorature.

Proprio la riscoperta completa degli affreschi retrostanti ha costituito una delle esperienze più emozionanti che ho vissuto. Insieme all’amico Arch. Eugenio Bettinelli, pur in mezzo alla polvere, schiacciati all’interno di uno spazio esiguo, togliere mattone dopo mattone con la massima cautela per veder apparire un affresco che mai era stato visto prima dai contemporanei, raffigurante Cristo con la Vergine in trono, questo già conosciuto, ma accanto anche, mai osservate prima, la figura di S. Omobono, il nostro patrono, a sinistra e S. Agata a destra, ha rappresentato un’esperienza che ha ripagato tante fatiche e qualche volta un po’ di sofferenza provata durante altri momenti di attività in cattedrale.

E gli affreschi coperti dai grandi altari, come quelli dei S. Rocco, di S. Andrea, o nascosti dalla grande tela di Bernardino Gatti in abside: vi è una cattedrale dipinta non ancora conosciuta che invece va valorizzata. E che dire dell’altare della Madonna delle Grazie, il primo a sinistra entrando in Duomo: sotto una lastra in rame raffigurante la Vergine col Bambino, erroneamente attribuita al Massarotti, è emersa quella antica ed originale, in parte trecentesca e in parte quattrocentesca, realizzata ad affresco ma su una lastra di marmo granitoide: sorge un interrogativo: chissà da dove proveniva.

4.     RUOLO DELLA DIAGNOSTICA.

Se fondamentale per la comprensione di un’opera è la ricerca di archivio, questa oggi deve interagire con i dati  diagnostici propri delle scienze sperimentali per avere una conoscenza il più possibile completa della realtà. Proprio attraverso la ricerca sperimentale – ed è un ulteriore elemento di novità presente nel libro – sono stati caratterizzati tutti i marmi esterni dei loggiati della cattedrale: trachiti, diversi tipi di arenaria, marmi carbonatici, ammonitico veronese nelle diverse cromie, granito di Baveno e di Montorfano, candoglia: scelte proprie di determinati periodi storici del lungo cantiere della cattedrale: possono gettare un raggio di luce nell’evolversi del complesso cantiere del Duomo, un aiuto per gli storici nella ricerca di puntualizzare meglio questo complesso problema. E, ulteriore elemento di novità, le sculture del Porrata all’interno del rosone centrale, ben documentate dall’amico Giuliano Regis.   

Vi è un denominatore comune nel libro: questi restauri degli ultimi vent’anni sono sempre stati accompagnati dai dati diagnostici, per cui sono presenti  nel libro solo alcuni dei numerosissimi dati ottenuti; però  proprio su questa base sono stati definiti i metodi di restauro.  

Purtroppo questo criterio non sempre è stato valorizzato, pur avendo da parte mia manifestato piena disponibilità alle indagini, come nel caso degli scavi in cripta: nel libro ho manifestato le mie perplessità sull’interpretazione fornita dagli esperti. Questo non per spirito di polemica, ma per suggerire sommessamente che forse si poteva, completando le conoscenze, capire  un po’ di più. Nell’esempio citato credo sia inutile, sulla base di pochi centimetri di differenza, stabilire le diverse epoche dei mosaici della cripta rispetto a quelli del camposanto dei Canonici. Solo le differenze stilistiche, unite alle diverse caratteristiche dei materiali, possono costituire un presupposto più fondante per una datazione più plausibile.

Così oggi è possibile pensare che quelli più orientali del camposanto sono in realtà in un rapporto di continuità con quelli della cripta, mentre quelli centrali del camposanto sono davvero di un’epoca successiva, come è stato evidenziato in un recente convegno. E allora anche le ricostruzioni sulle diverse chiese prima o contemporanee al sorgere dell’”Ecclesia Maior” possono essere diverse da quanto finora proposto.

Ma questo sarà l’oggetto di un secondo volume che l’amico prof. Quintavalle illustrerà: il secondo volume si fonderà, oltre che sulle ricerche d’archivio e le analisi stilistiche, anche sulla caratterizzazione dei materiali utilizzati, per definire meglio le diverse fasi costruttive del nostro Duomo. E’ sempre stato un mio desiderio veder interagire architetti, diagnostici, storici dell’arte per tentare di capire meglio la complessità e l’armonia della nostra cattedrale. Perché se riscopriamo meglio il nostro Duomo, riusciamo a capire meglio anche noi stessi, come ha affermato il prof. Paolucci nel DVD del centenario e che ho riproposto come elemento introduttivo nel libro.

5.      I CONTENUTI

Il libro è ritmato secondo un ordine cronologico, dalle fasi più antiche a quelle più vicine a noi. I capitoli più importanti sono introdotti da alcuni scritti di storici dell’arte: così il ciclo quattrocentesco delle volte dei transetti da parte della prof. Giusy Zanichelli, per le formelle dell’Amadeo e per il ciclo cinquecentesco il prof. Tanzi ha portato il suo contributo, come la dott.sa Lia Belligeri per il Crocifisso del Battistero e il Seicento del duomo, periodo finora non sufficientemente indagato.

Per ogni intervento ho voluto mettere in risalto chi sono stati i progettisti, chi ha eseguito i lavori e con quali fondi sono stati realizzati, anche per far capire che il Duomo è stato ed è davvero la casa di tutti. A tutti costoro va con sincerità  il più vivo  ringraziamento.

Emerge anche una considerazione non del tutto positiva: non vi è stato fin dall’inizio un progetto unitario che, come da logica, partisse dai tetti per arrivare agli interni: qui si è operato esattamente all’opposto. Vi è uno schema, a pag. 18    del libro, che evidenzia il coinvolgimento per le autorizzazioni delle soprintendenze di  Brescia e di Mantova, ma anche della Direzione Regionale, perché non è stato facile realizzare quanto fatto anche per la difficoltà di definire le diverse competenze di ogni Soprintendenza: vorrei solo ricordare gli inizi della mia presenza in Duomo: da oltre due anni i ponteggi erano stati realizzati in navata centrale ma senza iniziare i lavori sul ciclo cinquecentesco: solo l’intervento diretto del Ministero ha potuto risolvere il problema, assegnando ad una Soprintendenza senza territorio – Opificio delle Pietre Dure – la responsabilità scientifica dei lavori.

6.     LE UTOPIE

E’ stato fatto molto, ma ancora molto c’è da fare; nel libro ho manifestato a voce alta alcuni desideri che altri porteranno a termine senz’altro con modalità migliori rispetto a quelle oggi presentate nel libro valorizzate in questi ultimi vent’anni.  

C’è una paginetta, all’inizio, con la quale faccio i miei ringraziamenti; una pagina nella quale, ma intenzionalmente, ho dimenticato la prima persona da ringraziare, il Signore che, attraverso prove, gioie, difficoltà, entusiasmi, ha delineato per me un’esperienza assai ricca, impensata al momento dell’ordinazione: l’Università, la Parrocchia, l’insegnamento, la ricerca.. 

Anche il lavoro per questo libro, dedicato ai miei genitori ormai defunti, non è stata un’impresa facile, ma piuttosto sofferta: con gioia lo presento perché possa suscitare, come ha suscitato in me, tre atteggiamenti di fondo verso il nostro Duomo: conoscerlo di più per amarlo di più; mettersi in ascolto nel silenzio, perché ogni quadro, ogni affresco, ogni legno, ogni marmo ci parla, ci  manifesta la fede, la cultura, l’arte, la storia di un passato che però deve rivivere nell’oggi: perché il nostro duomo è sempre attuale. E scoprirne sempre di più la bellezza, perché, come aveva affermato Dostoevskij, un’affermazione ripresa da Giovanni Paolo II nel Giubileo degli artisti, è proprio la bellezza che salverà il mondo. Questa prospettiva di salvezza, di speranza, di pace sia il contenuto del mio sentito ringraziamento.

Nelle riproduzioni, mosaico tra i muri e i tumuli dei vescovi; affreschi retrostanti altare S. Michele, figure interne del rosone, affreco quattrocentesco controfacciata lato nord. Nelle foto di cronaca, il vescovo Lafranconi e mons. Achille Bonazzi, Lia Bellingeri e C.A. Quintavalle, il folto pubblico e i relatori