Ricerche, dibattiti, polemiche cittadine e urbanisticai


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Il super violino di Giorgio Palu nel giardino della Stazione: via libera dalla commissione paesaggio, per la licenza e per Sovrintendenza tutto a posto

Gli architetti e il "pasticiaccio" in piazzale della stazione

(a.m.) “Maledetti Architetti”è il titolo di un famoso libro degli anni ’80 di Tom Wolfe. Quasi tutti gli architetti ne ricevono prima o poi, con ammiccamenti vari, una copia in regalo. Per l’occasione, vale la pena leggerlo e riflettere sulle accuse lanciate alla categoria e troverete che le accuse sono datate, ma non troppo, perché vedo che continuano a riproporsi con toni accesi anche nella solitamente riservata e modesta Cremona, per il collocamento del “super violino”.
Il risvolto civile vero di tale disputa credo dovrebbe essere nell’ordine:

1°) La città necessita di un altro totem con l’immagine del violino?
2°) il posizionamento è funzionale agli interessi della città ed adeguato a quest’opera?
3°) E’ un simbolo pubblicitario o un corredo urbano o un’opera d’arte? Soprattutto, se ha queste ultime aspirazioni, non sarebbe stato corretto che fosse valutata da una commissione di scultori di comprovata grande autorevolezza?
4°) E’ legittimo che un architetto, aspirante artista, pur di “chiara fama”, goda di percorsi privilegiati ed elabori, procuri, finanzi, pubblicizzi e scelga il luogo dell’esposizione del proprio operato proprio là, ai limiti delle prescrizioni urbanistiche?

Più della qualità ed il motivo ispiratore dell’opera, la disputa offre diverse considerazioni in merito a come viene tenuto normalmente in considerazione l’ordinamento pubblico e normativo ed aggiunge qualche generale valutazione sull’atteggiamento di qualche architetto nei confronti della città e della disciplina urbanistica su cui val la pena di soffermarsi.
L’episodio è sicuramente modesto rispetto alla grande importanza del tema più generale, ma offre l’opportunità di esprimere considerazioni generali e diffuse, che non sono propriamente casuali.
Gli architetti sanno molto bene di praticare una professione molto, molto difficile e complessa, che, ad ogni passo, rischia di cadere in errore. Un lavoro oltretutto nel quale non se ne sa mai abbastanza o non si sa tutto quello che si dovrebbe sapere; che dovrebbe essere sempre più interdisciplinare, ma che per costi, cultura e sensibilità trova difficili corrispondenze; lavoro a volte totalizzante e troppo impegnativo, dal quale bisogna prendere le distanze in qualche modo, alleggerendone i carichi ed i settori di attività restringendo il campo delle proprie competenze.
Molto spesso la maggior parte degli architetti si salva da questo stressante impegno praticando veri e propri “atteggiamenti egocentrici“ di tipo mentale, culturale, ideologico, comportamentale, che, a pensarci bene, per valutarli benevolmente vanno interpretati come alleggerimenti, evasioni, occasioni di fuga, sberleffi e piropei.
Da qui, di volta in volta, hanno avuto, in totale libertà, possibilità di inserimento di un repertorio disinvolto e spesso fuori luogo, costituito da colori funebri ciuffi, moduli lego, farfalline, pagine aperte, ante a cannoniera, palafitte, ….. non esenti da critiche di retroguardia, ma comunque tesi alla riconoscibilità ed alla auto pubblicizzazione.
Atteggiamenti a volte veniali, a volte di natura nevrotica, a volte psicotica.

Spesso di moda, d’occasione, di convenienza. Sono così diffusi da diventare spesso tipici di un profilo professionale. Tali e tanti sono gli atteggiamenti che si potrebbero elencare, sistematizzare, studiare o analizzare sociologicamente e culturalmente, attraverso un’ apposita rubrica. Dimmi che atteggiamento assumi e ti dirò che architetto sei.
Da un lato non si capisce come mai i “grandi maestri del movimento moderno che hanno fatto l’architettura” non abbiano mai sentito il bisogno di ricorrere a tali mezzi. Dall’altro ha dell’incredibile la libertà di intervento al di fuori delle regole. Ma in periferia, nei club, nei circoli ristretti, nel cerchio magico, tale atteggiamento il più delle volte paga, perché, per appartenere a quel “giro”, devi essere e possedere un “ego smisurato” ed un oggetto griffato in palese contraddizione con quella raffinata sobrietà predicata in quegli ambienti come sinonimo di signorilità. Insensibile ad ogni richiamo prontamente il progettista si propone sempre con l’obiettivo di conferire una nuova riconoscibilità ed una nuova “identità” ai luoghi, che risolve con l’introduzione di “segni”, “gesti”, ”edifici autocelebrativi”.

Il mitico Crozza ha colto, molto argutamente, questi atteggiamenti nell’interpretare la figura dell’ architetto di “buon gusto” ricercato, afflitto da “tormento ed estasi” e con “il ditino mignolo” destro alzato. Tale atteggiamento al di fuori delle regole, e quello della contrapposizione tra architettura ed urbanistica, è diventato costume al punto che viene insegnato anche nelle Università.
Tipica di un atteggiamento è la figura dell’architetto totalizzante “architettocentrico” a cui non passa neanche lontanamente per la testa che forse su questa terra dovremmo ormai, con molta prudenza e religioso silenzio, solo contemplare e mantenere cio’ che ci è rimasto; non passa neanche per la testa che la buona architettura deriva da una urbanistica attenta e da una ordinata disposizione delle cose.
Il soggetto è facilmente riconoscibile da numerosi sintomi e dalle sue affermazioni con cui:

A) Ritiene che il piano urbanistico sia una diabolica invenzione di burocrati e politici ed uno strumento capace solo di limitare le sue” libertà creative”
B) Ritiene che le città siano brutte ed inabitabili per i criteri di regolamentazione ed uniformità di trattamento imposti dall’urbanistica.
C) Ironizza sull’urbanistica e sugli urbanisti continuamente a contatto con “certa” politica.
D) Si vanta di non capire nulla di urbanistica e se ne compiace nei salotti, specie se questi sono stati “molestati” da regolamenti urbani.
E) Più parla male dell’urbanistica più crede di essere realmente un vero architetto.
F) Odia gli standard, cosa da lasciare a ragionieri e contabili dell’urbanistica.
G) Rifiuta l’azzonamento che impedisce ed ostacola la qualità dell’architettura;
H) Dimentica il disagio abitativo e quanto è fondamentale per soddisfare i bisogni di un essere umano, ma non la ricerca estetica autoreferenziale.
I) E’ convinto di essere l’unico depositario e “sacerdote” della qualità architettonica;
L) Ritiene che solo l’architetto possa disegnare e fare bella la città;
M) Crede che il verde ed il paesaggio siano e debbano essere solo dei fondali alle sue opere;

E’ il classico rappresentante della teoria del” caos creativo” e“del si affermi il migliore”. Probabilmente nella società attuale, spiace ammetterlo, è la strada giusta per essere vincente. Magari con il supporto della burocrazia pubblica, spesso assai generosa nei confronti del forte e intransigente verso il cittadino senza dinastia . I risultati però sono quelli a cui assistiamo.
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(a.l.) Aggiungiamo allo straordinario intervento pubblicato in apertura dell'editoriale, che sul “super violino”, considerato elemento di rigenerazione urbana (sic ), si è saputo poco o nulla fino all'inizio dei lavori in piazzale della stazione. La discussione in Commissione Paesaggio si è protratta solo sulle modalità dell’iter  amministrativo, ma non ha assolutamente discusso, né approvato il luogo di collocazione dell’opera, né la sua qualità. E il tutto è avvenuto quando la Sovrintendenza aveva già dato il suo parere favorevole sin da gennaio ( uno sfregio inconcepibile nei confronti della Commissione costretta prendere atto di decisioni già inviolabili).

 Del resto il problema vero non è questo. E’ ben altro. Purtroppo questo episodio non è che la punta dell’iceberg di una condizione scombinata. Diamo anche alla Commissione Paesaggio il riconoscimento dei limiti che le sono imposti. Per quanto è trapelato, la Commissione Paesaggio, in questo anno di rodaggio ha cercato di trovare” una posizione ed un ruolo in campo”, con enormi difficoltà-(talvolta pare abbia dovuto supplire i vigili per non essere aggirata).

Una” nuova” Commissione sperimentale,( per giunta consultiva ), che non vuole essere usata come paravento e vuole che sia affermato un suo ruolo deve avere un suo spazio? Bisogna dire una volta per tutte con estrema chiarezza che in un decennio le condizioni politiche, amministrative, le risorse umane e culturali, la considerazione del bene comune si sono “rilassate”e sono degenerate. 

Senza voler rappresentare, in questo momento, alcuna posizione ideologica di parte (quelli di prima e di adesso pressoché pari sono ), sembra onestamente di poter affermare che questa Giunta, pur essendo composta da bravi e onesti ragazzi,( ma molto inesperti e supponenti), non ha la minima idea di che cosa vuol dire rigenerazione urbana né che cosa sia districarsi all’interno di un patrimonio stratificato di segni.

Conveniamo con l'editoriale: urbanistica ed architettura sono argomenti accantonati e sotto traccia. Attualmente sul tema, ed altro, la Giunta è chiusa a quadrato “in difesa” senza capire che è  alla mercè delle scorrerie di  dirigenti, funzionari ed ex arapaho di palazzo. Rammenta il generale Custer nella battaglia del Little  Bighorn. Quindi il “cinismo dell’apparato comunale” segnerà, alla lunga, un nuovo facilissimo successo.

Sul tema, una lettera di Giorgino Carnevali.

Gli interventi di Giorgio Palu suscitano polemiche anche in Cimitero

Ci mancava anche questa: si aprono anche in cimitero le polemiche che accompagnano la realizzazione del mega violino in piazza della stazione, una piazza che aveva mantenuto la sua armonia ottocentesca anche dopo il composto riassetto, e che deve invece ospitare d'angolo una gigantesca " anima della città" - questo il titolo datole dal suo autore, Giorgio Palu- che alla base evoca la cassa del violino per poi perdersi in acciaio filiforme e multicolorato nel suo propagarsi verso il cielo.

La domanda è sempre la stessa: fino a punto è possibile alterare ad esempio, Piazza del Duomo conservandone l'identità? La risposta è facile e qui non si tratta di allargare il discorso piuttosto banale e di facile presa demagogica che si è letto questa domenica, quando nell'editoriale del giornale locale si dichiara che se la città esprime un giudizio negativo di carattere artistico, paesaggistico, ambientale, allora è una città immobile e refrattaria a tutte le novità. Ma, il nocciolo del problema è la qualità, non la novità. Ci sono belle novità e brutte novità- Ed altrettanto vale per la qualità, buona o cattiva.

Detto questo, eccoci al cimitero. Il nome di Giorgio Palu ha portato alla nostra redazione molte segnalazioni di frequentatori del bel camposanto sulla ristrutturazione della Cappella della Famiglia Bonati. Il Mausoleo si presentava come si vede nella fotografia in bianco e nero a sinistra peraltro in pessime condizioni di manutenzione. come riferisce Anna Filippicci Bonetti nel suo splendido volume "L'arte dei Monti di Cremona vissuta tra Famiglia e Bottega" .

Anna Filippicci Bonetti descrive così la valenza della Cappella: " Il disegno è dell'architetto Davide Bergamaschi e l'ancona reca la descrizione " A. Monti e F.lli fecero". La Cappella si presenta complessa. interessante, monumentale e ricca di lapidi ricordanti i nomi dei defunti. Il fondale architettonico di stile gotico è utilizzato come nei trittici degli altari ed è ricco di opere che confermano la ricchezza del mausoleo destinato ad una famiglia molto nota in città. Il busto di isidoro Bonati, nonostante gli annerimenti dovuti al passar del tempo, si mantiene ancora a un buon livello illustrativo (…) Ben modellato il medaglione al centro del fondale. Il bassorilievo centrale in basso mostra una figura femminile, la Gratitudine, seduta e avvolto in un lungo peplo(...).

La cappella ha cambiato proprietà ed il tutto è stato coperto (si spera) con un mantellone in acciaio o rame dorato, rispettando, meno male, la "Gratitudine" che sbuca tra le pieghe del gigantesco paramento. Anche qui la domanda si ripete: vale la qualità o la novità? Attenzione a come rispondere.





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di Lun, 26 set 2016