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Palazzo dell'Arte il 14 settembre 2013: è il giorno dell'inaugurazione del Museo del Violino.Nelle foto la facciata e la scultura di Preite.



Antonio Stradivari, la sbalorditiva estetica del sublime

Antonio Stradivari costruì non meno di un migliaio di strumenti; circa la metà è giunta intatta sino a noi. Tuttavia solo una decina, realizzati per committenti importanti o in occasioni particolari, presentano intarsi preziosissimi: sono le perle più fulgide dell’arte del sommo liutaio, l’espressione più alta del suo genio, che qui tocca la perfezione. Sono, ovviamente, capolavori rarissimi, spesso difficilmente raggiungibili e forse anche per questo ancor più affascinanti. La mostra “Stradivari, l’estetica sublime” – che, per la prima volta al mondo, dal 24 settembre al 9 ottobre radunerà a Cremona, nelle sale del Museo Civico, ben cinque violini intarsiati, ovvero tutti quelli esistenti ad eccezione del Quartetto del Patrimonio Nacional spagnolo, mai uscito, in epoca recente, dai confini iberici e del “Rode” – è dunque un evento significativo, probabilmente unico per l’importanza ed il valore dei pezzi esposti.

GLI STRUMENTI STRAORDINARI DI ANTONIO STRADIVARI

Alla metà del Seicento la liuteria cremonese aveva più di un secolo di storia. I violini che provenivano da Cremona erano considerati i migliori ed erano ricercati in tutta Europa. La principale bottega cittadina, quella della famiglia Amati, godeva di un grande successo ed era in piena fioritura. Fu in questo clima che Antonio Stradivari incominciò la sua attività. Probabilmente egli si formò proprio con Nicolò Amati, da cui apprese le tecniche e i principi costruttivi che rendevano straordinari gli strumenti cremonesi. Ma è possibile che durante i suoi anni giovanili Stradivari abbia anche collaborato con un intagliatore: lo suggerisce la maestria tecnica che rivelano alcuni strumenti particolari, gli strumenti intarsiati di Antonio Stradivari.
Nel realizzare questi strumenti, abbelliti con particolari decorazioni e ovviamente pensati per una fascia di clientela di alto livello, Stradivari si allontanava dall’uso dei liutai cremonesi, storicamente attenti in particolare alla funzionalità delle loro opere. Il violino è precipuamente uno strumento per fare musica, e ogni suo elemento costitutivo (la forma, la dimensione, la scelta dei legni, le caratteristiche bombature, gli spessori, le vernici...) è legato a una precisa finalità acustica. In questi strumenti Stradivari andava oltre la tradizione: aggiungendo intarsi e decori, utilizzando materiali di particolare pregio, sviluppava un aspetto estetico originale e opulento, ma contemporaneamente restava attento alla funzionalità.
Queste opere restano comunque ottimi strumenti musicali. Stradivari lavorò per molti decenni, dagli anni Sessanta del Seicento fino alla morte nel 1737, e costruì centinaia di violini, viole, violoncelli e altri strumenti. La produzione di strumenti intarsiati è concentrata nella prima parte della sua carriera, entro il 1700, e conta solo pochissimi esemplari, resi ancora più importanti proprio dalla loro rarità. Non sappiamo con precisione per chi fossero realizzati questi strumenti particolari, ma essi dimostrano come fin dal principio della sua attività Stradivari abbia goduto di una straordinaria fortuna e del patronato di clienti importanti. Inoltre, la altissima qualità tecnica del lavoro di intarsio e decoro dimostra il livello straordinario delle capacità manuali e tecniche di cui Stradivari era dotato, talenti che egli seppe sfruttare al meglio, a beneficio di chi ancora oggi può godere degli strumenti che egli costruì più di trecento anni fa.


GLI STRUMENTI


I cinque violini qui esposti rappresentano una selezione qualificata della produzione di strumenti intarsiati di Antonio Stradivari. I violini Sunrise ed Hellier sono in assoluto due tra i più antichi prodotti di Stradivari ancora in esistenza. Sebbene costruiti su modelli di cassa armonica diversi, le decorazioni sono praticamente identiche. L’unica differenza di rilievo risulta essere l’inversione della fascia della cc sul lato acuti, che nell’Hellier è capovolta. Unico tra gli strumenti qui esposti, il Sunrise conserva il manico originale, allungato per essere suonato con la moderna prassi esecutiva.
La radice del manico verso la cassa armonica mostra tracce della decorazione originale, che in questa parte è in tutti gli altri strumenti andata perduta. Il Cipriani Potter è un violino di dimensioni piccole. E’ possibile che esso sia stato costruito da Stradivari in risposta alla commissione di uno strumento per un fanciullo. Il motivo della decorazione delle fasce è leggermente differente da quello dei due strumenti precedenti, l’intarsio sottile ed elegante.
Per l’ornamento della testa, di dimensioni pari a quella di un violino normale, Stradivari disegnò un nuovo modello che riutilizzò in seguito. L’Ole Bull, del 1687, fu nell’Ottocento per molti anni in possesso del celebre virtuoso norvegese di cui porta il nome. Come nel caso di moltissimi strumenti di Stradivari, nulla sappiamo circa i primi due secoli della sua storia, ma è interessante notare come nel 1861 esso fu acquistato da un famoso esperto e commericante inglese, George Hart, a Budapest. Perché il violino si trovasse in Ungheria, quando e come vi fosse giunto resterà forse per sempre un mistero. Il Greffühle è uno tra gli ultimi violini decorati di Stradivari.
La sua datazione è incerta, ma i modelli della cassa e dei fori armonici suggeriscono come periodo di costruzione uno degli ultimi anni del Seicento. L’etichetta riporta invece la data 1709. Per la decorazione del riccio Stradivari utilizzò il modello già adottato per il riccio del Cipriani Potter, mentre le fasce presentano un disegno più complesso e raffinato delle semplici stilizzazioni floreali degli altri strumenti in mostra.

Accanto ai preziosi violini saranno esposti modelli originali dal Museo Stradivariano, mentre contributi multimediali riprodurranno il lavoro di intarsio svolto da un artigiano contemporaneo. Ma sarà soprattutto possibile ammirare ed ascoltare alcuni di questi capolavori affidati a grandi solisti per audizioni insolite ed irripetibili, in una magica sinestesia che – probabilmente – solo a Cremona è possibile realizzare.

Le foto sono di A. Leoni ©

Carlo Bergonzi: alla scoperta di un grande liutaio

La mostra lo scorso anno dal 25 settembre al 10 ottobre con la presentazione di 22 strumenti particolarmente significativi

Nel pantheon dei grandi liutai il nome di Carlo Bergonzi deve senza dubbio stare accanto a quello dei più celebrati Maestri della scuola classica cremonese. Nonostante la sua grandezza sia stata presto riconosciuta, ancora oggi è tuttavia il meno compreso tra grandi costruttori della prima metà del XVIII secolo. Tanto che al mondo mai gli è stata dedicata alcuna rassegna monografica.
La Fondazione Stradivari ha colmato lo scorso anno questa mancanza con la mostra “Carlo Bergonzi, alla scoperta di un Grande Maestro”.


Attraverso 22 (in origine dovevano essere 24) strumenti particolarmente significativi è stato, dunque, possibile riscoprire l’intera carriera di Carlo Bergonzi, mentre alcune opere giovanili del figlio e unico allievo di Carlo, Michele Angelo, hanno testimoniato il passaggio generazionale della bottega.
Questo numero, solo all’apparenza esiguo, rappresenta circa la metà degli strumenti conosciuti. Già la mostra “Cremona 1730-1750, nell’Olimpo della liuteria”, nel 2008, aveva peraltro presentato quattro violini ed un violoncello usciti dalla loro bottega, inserendoli nel contesto della produzione cittadina loro contemporanea. Proprio da questo confronto emergevano tratti costruttivi assai originali.
L’impegno di ricerca della Fondazione Stradivari ha voluto, dunque, approfondire con maggior attenzione l’evoluzione dello stile di Bergonzi, partendo dai suoi primi strumenti, che riflettono in maniera evidente l’influenza di Vincenzo Ruggeri, suo probabile maestro, fino ad indagare le crescenti similarità con il lavoro di Antonio Stradivari.
Entro il 1730 Bergonzi sviluppa, infatti, i suoi caratteri più riconoscibili e la sua produzione diviene quantitativamente significativa. Questo “periodo d’oro” sarà testimoniato da otto violini particolarmente importanti.
Verso la fine del decennio gli strumenti mostrano la crescente partecipazione all’attività della bottega di Michele Angelo: un buon numero di violini di questo periodo di transizione verranno esposti insieme con alcuni costruiti indipendentemente dal figlio immediatamente prima e subito dopo la morte del padre, avvenuta nel 1747.
Uno dei punti di maggior interesse della mostra è stato, poi, l’unico violoncello noto di Carlo Bergonzi, esposto per la prima volta insieme con la sola viola costruita da padre e figlio probabilmente a partire da parti iniziate e lasciate incomplete da Stradivari, recuperate quando subentrarono nella sua bottega rilevandone l’attività. Infine, sarà esposto anche uno dei pochi mandolini di Michele Angelo giunti fino ai nostri giorni.
Come consuetudine, inoltre, il catalogo della mostra ha approfondito la biografia dei due Bergonzi a partire da documenti d’archivio inediti recentemente scoperti e proporrà un’estensiva analisi tecnica della loro opera, che verrà in modo particolare comparata con quella dei grandi Maestri della scuola classica.
Per questo importante impegno di ricerca, la Fondazione Stradivari ha saputo coinvolgere i maggiori esperti internazionali, onde intersecare competenze diverse e, attraverso nuove strategie di ricerca, talora mai applicate alla liuteria, acquisire dati sui capolavori storici così da organizzare un corpus di informazioni tecnico-scientifiche il più completo possibile sulla famiglia Bergonzi ed i loro strumenti. Nel disegno: Carlo Bergonzi- "Grand Pattern"

L’ultimo Maestro della scuola classica cremonese

Carlo Bergonzi non proveniva da una famiglia di liutai e i suoi strumenti che ci sono noti datano a un periodo relativamente breve, circa venti anni, nella parte finale della sua vita. È probabile che abbia collaborato con diverse botteghe: fonti di archivio ci informano dei rapporti di amicizia che legavano la sua famiglia di origine con un altro grande liutaio cremonese, Vincenzo Ruggeri, ed è possibile che questi sia stato il suo primo maestro. Non è escluso che Carlo abbia lavorato anche per i Guarneri, ma pare certo che, almeno negli anni Trenta, egli sia stato uno stretto collaboratore della bottega Stradivari.
La liuteria di Bergonzi si inserisce nella tradizione cremonese per modelli e tecniche costruttive, ma il suo stile presenta una certa originalità e una costante evoluzione.
I suoi strumenti sono in genere di alta qualità, costruiti con grande gusto e attenzione per le finiture e con materiali spesso eccezionali: legni di ottima scelta, vernici molto trasparenti. I suoi strumenti più riusciti hanno caratteristiche sonore eccellenti e sono molto ricercati. Lo stesso Paganini ne possedette uno.
Non appena l’età del giovane lo permise, Carlo Bergonzi associò alla sua attività il figlio Michele Angelo. La grande occasione per loro giunse poco dopo il decesso dell’ultimo liutaio della famiglia Stradivari: i Bergonzi poterono rilevare la bottega, con la possibilità di utilizzare attrezzi, forme e quant’altro vi si trovava, divenendo così di fatto i continuatori della principale bottega di Cremona. Ma la morte colse Carlo quasi subito. Michele Angelo, rimasto troppo presto privo della guida del suo maestro, non fu in grado di sostenere la posizione che gli si offriva. La qualità del suo lavoro non eguaglia quella del padre, e anche se egli fu di fatto l’ultimo liutaio educato nella grande tradizione cremonese i suoi strumenti rivelano un gusto e capacità manuali non pienamente formati e non reggono il paragone con il lavoro dei colleghi che lo avevano preceduto. La morte di Michele Angelo nel 1758, a 37 anni di età, interruppe una grande tradizione che aveva avuto inizio più di due secoli prima.

Molti eccezionali approfondimenti e studi nel catalogo dell'Opera Omnia mettono fine anche a dispute centenarie: alla fine del 1400 lo strumento era lavorato anche nel bresciano

Andrea Amati non "inventò" il violino, lo perfezionò e lo... commercializzò con altrettanta abilità

Certo la sua fu una grande impresa che esaltò una bottega dove lavoravano i migliori artigiani e decoratori della straordinaria Cremona rinascimentale - Era un grande laboratorio dove si producevano i più diversi strumenti per "sonar" - Il capostipite della liuteria cremonese costruì, dunque, anche molti altri diversi strumenti - Si rese conto che uno strumento "cresceva" su tutti e rispondeva alle richieste di una nuova musicalità, così la genialità dei suoi interventi affermò il violino in modo definitivo e con un ruolo sempre più essenziale nelle orchestre di Corte

La mostra dell'Opera Omnia di Andrea Amati poteva persino essere attesa come risposta a una domanda annosa ed un po' stucchevole, l'esito finale del confronto all'interno di un localismo romantico ed ingenuo che però è stato lungamente coltivato: chi fu inventore del violino? Andrea Amati, cremonese, o Gasparo da Salò come rivendicano i bresciani, che però pare non abbia costruito un violino prima del 1574? Insomma, Coppi o Bartali? Piacciono molto a noi italiani questi confronti, due nomi secchi per i quali fare tifo. Ma non si può porre la questione in questi termini.


Derivano dalla grande pittura del '500 cremonese le decorazioni dei violini: i puntuali riferimenti nel grandioso studio di Marco Tanzi

Sarebbe interamente da riprodurre il profondo studio di Marco Tanzi sulle relazione tra le decorazioni dei violini e la pittura cremonese. Ma qualche dato va preso come estremamente interessante con alcune significative immagini a corredo.
La figurazione del violoncello Berger potrebbe trovare paralleli in gran parte della pittura ornamentale manierista. Ma Tanzi scende nel dettaglio ed esamina gli apparati effimeri allestiti a Cremona nel Cinquecento per l'ingresso dei sovrani.


" Disegni preparatori risultano d particolare utilità per la ricerca: nel violoncello Berger gli elementi che ornano i plinti sono in relazione con un gruppo di fogli campeschi conservati al British Museum di Londra".


Nel violoncello The King la figura della "Giustizia" trova riscontro con la produzione di Giulio e Antonio Campi ma ancor più con numerose figure femminili di Bernardino Campi, dalla Santa Caterina della celebre pala del1566 in San Sigismondo alla Santa Barbara sulla destra della grande tavola eseguita l'anno precedente per il Sant'Antonio a Milano. Nel violino "Il Portoghese" si scorge Sofonisba Anguissola.


Nel violino Carlo IXe nel più leggibile violino Tullie House l'immagine della Pietà si rapporta specialmente a un disegno di Giulio Campi agli Uffizi; dove gli studi per la Prudenza col capo velato dimostrano altrettanto di essere stati conosciuti da vicino dall'autore di queste decorazioni.
Pochi cenni che per la loro scarsità fanno torto allo studio di Tanzi. Ma che dimostrano come tanti interrogativi trovino invece risposta pressoché definitiva.

La domanda è francamente improponibile, figlia di uno spirito di campanile che Cremona, la città con il campanile più alto d'Europa alimenta con orgoglio e per certi aspetti giustamente, non certo da oggi: perché il violino non è il brevetto di un ingranaggio, non può essere una idea geniale ma estemporanea, ma può essere solamente l'esito di un processo e di un adeguamento alla richieste della musica in rinnovamento.
Ad ogni modo, finalmente il catalogo dell' mostra sull'Opera Omnia di Andrea Amati dà una risposta, indiretta e scientifica, all'interrogativo. Ed è una risposta che lascia le... armi in campo.
Un 'attività di ricerca del protoviolino viene attestata nel bresciano alla fine del '400 mentre ad Andrea Amati viene attribuito soprattutto l'esercizio di una vera e propria impresa nella costruzione di strumenti "per sonar", non solo violini dunque. "Ma non appena la richiesta di violini comincia a farsi sentire il costruttore commerciante Andrea Amati è pronto". Ecco la affermazione piuttosto sensazionale.

Andrea Amati fu un vero imprenditore dell'epoca, ed assorbì il clima ed il fermento commerciale di una città vivace culturalmente ed affermata commercialmente, che aveva per mercato tutta l'Europa, dunque aperta ad una intraprendenza che i cremonesi , salvo poche eccezioni, possono sognarsi.

Andrea Amati lavora a molti strumenti musicali, non solo al violino. Ma quando si accorge che questo particolare strumento trova sempre più attenzione, è certamente anche prodotto che fa guadagnare, vi si dedica con genialità, lo rivede, lo reinventa in qualche modo. In questo senso si può certamente affermare che comunque Andrea Amati con tutti i lavoranti che gli sono attorno, è il "primo" a ricercare il meglio e ad adeguare il protoviolino. Andrea Amati ha un merito essenziale e dominante: porta il violino assai vicino a quella perfezione armonica ed artistica che con Antonio Stradivari raggiunge l'acme, creando le basi di quella scuola cremonese che è riferimento nel mondo.
Ecco, dettagliato, l'intervento che puntualizza questi aspetti all'interno del catalogo per la mostra di Andrea Amati. Scrive tra l'altro Carlo Chiesa...


"...È in questa ricca città (Cremona, ovviamente -ndr) che nella prima metà del Cinquecento comincia ad operare un liutaio che si specializza nella costruzione di un particolare tipo di strumenti da poco entrati in uso, gli strumenti della famiglia del violino. Quest'uomo, Andrea Amati, osserva il lavoro di altri liutai, lo copia, lo perfeziona, aggiunge idee sue e riesce a costruire qualcosa di originale, che si rivelerà molto superiore e più adeguato all'uso musicale rispetto al modelli da cui era partito. Ma la grandezza di Andrea non si limita alle sue intuizioni e ai suoi strumenti, pochi o tanti che fossero: essa deriva anche dal suo avere stabilito un metodo costruttivo estremamente efficiente, fondato sull'uso di una forma che definiva il profilo interno della cassa armonica e intorno alla quale tutto lo strumento veniva costruito e assemblato.

Il liutaio era in grado di costruire con precisione e in poco tempo strumenti sempre simili o uguali e di apportare in ogni nuovo strumento modifiche controllabili, che poteva poi continuare a mantenere o scartare. Il metodo di Amati, il celebre metodo costruttivo cremonese, resterà proprio della sua scuola (e solo di essa) per più di due secoli, usato senza notevoli variazioni ancora da Antonio Stradivari e Giuseppe Guarneri del Gesù, ed è senza dubbio una delle ragioni del successo dei lutai cremonesi".


"È difficile valutare l'opera di Andrea Amati: gli strumenti che ci sono arrivati sono pochi e molto rimaneggiati, e fino ad oggi è stato impossibile collocarli in una sequenza cronologica che mostri in modo esauriente lo sviluppo del suo stile. Poco o nulla sappiamo, inoltre, della sua formazione, del suo carattere, della committenza con cui aveva a che fare, delle condizioni in cui lavorava. Senza dubbio i suoi strumenti rivelano un progetto, la capacità di organizzare un modello geometrico, di disegnare e realizzare praticamente una spirale perfetta con cui concludere il manico di uno strumento, e lasciano intravedere chissà quale elaborato ragionamento nel progetto della forma della cassa acustica e dello sviluppo delle bombature di tavola armonica e fondo. Molti ricercatori hanno tentato di ricostruire i modelli geometrici cui Amati sembra essersi appoggiato e molte teorie sono state sviluppate. In realtà, ad oggi si è rivelato impossibile recuperare il set di informazioni che costituiva il bagaglio teorico di un maestro artigiano cremonese in pieno Rinascimento..."
Ed ecco la parte più sensazionale dell'intervento di Chiesa:
".... al termine di un lavoro di ricerca durato tre anni possiamo aggiungere molto altro, guardando alla situazione storica e agli strumenti che conosciamo, e ci permettiamo di avanzare qualche ulteriore supposizione. Possiamo partire da alcune considerazioni: la bottega di Andrea Amati rimase aperta per più di quarant'anni, produceva strumenti musicali e almeno dal 1556 vedeva la collaborazione del figlio Antonio; negli anni seguenti entrò a farne parte attiva anche l'altro figlio, Girolamo. Di contro, conosciamo sì e no una ventina di strumenti attribuibili ad Andrea. Questo significa che del lavoro di Andrea sappiamo ben poco.
Andrea è di fatto un contemporaneo dei primi liutai bresciani. Zanetto Micheli, autore dei più antichi strumenti noti che si possono con qualche ragione inserire nella famiglia dei violini, si considera nato intorno al 1490 ed è comprovata la sua attività come costruttore di viole nel 1537. Nello stesso anno anche Amati era certamente al lavoro? La prima parte dell'attività di Andrea si svolge in un periodo in cui il violino è uno strumento ancora sperimentale, privo di una precisa definizione. Ne deriva una conclusione inevitabile: Andrea non è nato come costruttore di violini, ma si è formato in qualche altro modo, presumibilmente costruendo strumenti musicali di altre tipologie, e con questi ha incominciato la sua carriera. Ma non appena la richiesta di strumenti della famiglia del violino comincia a farsi sentire, probabilmente poco prima della metà del secolo, Andrea è pronto: si interessa ai nuovi strumenti, li studia, li perfeziona, ne costruisce di particolarmente buoni e giunge persino ad inventare un metodo che permetta di costruirli rapidamente e con precisione"
.


"Il suo successo commerciale cresce, come testimonia la partecipazione dei figli alla sua bottega, che negli anni '50 sappiamo essere la sola in Cremona a costruire strumenti musicali. Non abbiamo un'idea esatta del suo giro di affari, non sappiamo chi fossero i suoi clienti e neppure a quale fascia di mercato egli principalmente si rivolgesse. Forse egli finì con lo specializzarsi particolarmente in questa tipologia di strumenti, ma è anche possibile che i violini siano sempre rimasti una parte della sua produzione. Certo è che nel terzo quarto del Cinqeucento la bottega Amati è una realtà commerciale di notevole dimensione e di grande successo cui si rivolgono committenti prestigiosi per ordinazioni di lusso..."

Non un motto di Andrea ma un richiamo allo stemma di Margherita de France

Altro interessante elemento alla mostra di Andrea Amati è perché gli strumenti destinati a Margherite de France rechino il motto "QVO VNICO PROPVGNACVLO STAT STABITQUE RELIGIO".


Questo motto viene considerata da alcuni come una specie di marchio di fabbrica degli strumenti. Scrive, però, Renato Meucci:
"ll motto latino che compare su questi strumenti «Quo unico propugnaculo stat stabitque religio» ha da tempo richiamato la mia attenzione per due differenti ragioni. La prima è l'incongruenza tra il significato della frase - che si può tradurre con "affinché unico baluardo sia e resti la religione" - e il fatto che tale affermazione, che ha quasi il sapore di un ammonimento, si trovi scritta su un "baluardo" del tutto innocuo, quale può essere appunto uno strumento ad arco.
La seconda considerazione riguarda la parola "propugnaculum", impiegata spesso nel latino del XVI secolo in relazione a tematiche religiose, a partire almeno dal primo testo pubblicato in difesa della confessione cattolica dopo la promulgazione delle tesi di Lutero, vale a dire il Propugnaculum Ecciesiac, aduersus Luthcranos di Josse Chchtove, edito a Parigi nel 1526.Tale uso del termine in un contesto religioso è confermato da numerosi testi di erudizione teologica, alternativamente di ispirazione cattolica o protestante, sempre nel significato di "difesa estrema", roccaforte, baluardo, riparo".
Ed ecco la conclusione di Meucci, che riassumiamo: "la corona che compare sullo strumento è assai simile a quella indossata da Margherita dopo le nozze avvenute nel 1572. Ebbene la corona reale, riconoscibile dai rami salienti ("vette",) al punto di congiunzione sostiene "un piccolo globo sormontanto da una crocetta".
L'ipotesi è dunque che il motto s riferisca all'impegno supremo della casa reale. Afferma Meucci, riferendosi alla corona reale: "tale indentificazione ... fornisce piena giustificazione all'insolito motto".


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di Gio, 20 feb 2014.