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"La lapide mortuaria al Museo del violino è quella originale"

Caro Direttore,

in risposta al lettore sulla questione della lapide mortuaria di Stradivari .
La lastra conservata presso il MDV è da ritenersi l'originale senza ombra di dubbi. Osservandola dal vero si può facilmente riscontrare che le ammorsature dei ferri per sollevarla sono compatibili con le tecniche del tempo., XVII-XVIII secolo, nonché lo stato generale del marmo è usato e pieno di fenditure. Il lettore non si faccia ingannare dalle proporzioni della ghiera da pozzo, questa effettivamente persa da anni (si dice smarrita), nella fotografia del Fazioli. La ghiera come si vocifera, sembra finita in qualche giardino del centro.
Del resto basta leggere il Mandelli Alfonso, nella sua pregevole opera su A.Stradivari, degli inizi del XX secolo per capire la reale storia: quando nell'estate del 1869 demolirono San Domenico, sapevano perfettamente chi era sepolto nella cappella del SS Rosario. Tanto che il Mandelli stesso vide la lapide in situ prima della demolizione della chiesa. Cercarono di trovare le ossa del sommo liutaio ma erano confuse fra quelle dei parenti (quindi smentiamo la leggenda del "si accorsero per caso"). La lapide fu subito presa dalle autorità e custodia in città. Successivamente diventerà parte del Museo Civico.
Angelo Garioni, Architetto

La replica di Antonio De Lupis

Vale la testimonianza dell'abate Vairani

Caro Direttore,
in risposta alle certezze dell'arch. Garioni mi sento in dovere, per amor del vero, di scriverle queste riflessioni. Sostenere che, senza ombra di dubbio, la lapide sia quella originale perché “ le ammorsature dei ferri per sollevarla sono compatibili con le tecniche del tempo” e “ lo stato generale del marmo....” è, a mio parere, una tesi molto fragile, anzi fragilissima (legga foto lapide di casa Stradivari in Galleria).
Nel testo originale che il Direttore ha dovuto 'tagliare' per esigenze di impostazione, ha omesso ciò che scrivo adesso tra parentesi ” ….. sono anche queste delle semplici copie. (, ma anche se fossero delle stesse dimensioni.).”
Ciò che sembra smentire l'originalità è quanto scolpito sulla pietra confrontato con le testimonianze del tempo. Ho confrontato a campione le iscrizioni dell'abate Vairani (sono più di duemila) con quelle effettivamente ancora collocate ad esempio in Cattedrale, in S.Lucia e altre chiese; quelle trascrizioni riproducono fedelmente gli originali scolpiti.
Quindi stupisce che l'abate Vairani scriva: “ Sepolcro di Antonio Stradivari e suoi eredi An. 1729” mentre la lapide in questione riporti inciso nel marmo: “ Sepolcro di Antoni(~) Stradivari e suoi eredi Anno 1729”.
Converrà che le tesi delle “ammorsature” e “ il marmo è usato e pieno di fenditure” reggono ben poco rispetto ai preziosi scritti trasmessi da testimoni del tempo.


Antonius de Lupis, autodidatta

Sta bene per la casa di Stradivari, ricordiamoci anche del rifugio di Fra Cristoro, di manzoniana memoria, e di Fiorini

Caro direttore
" Il Vascello" , il primo giornale on line di Cremona, che è da sempre molto attento alla storia della città e dei suoi concittadini emeriti, ha pubblicato ieri ( come d'altronde lei stesso , direttore, ha fatto presente in passato e così come Santoro ed altri studiosi e, mi si consenta, anche io ho detto alcuni giorni fa nella mia relazione al Castello Sforzesco ) che la prima casa abitata da Stradivari in Corso Garibaldi non è quella su cui è affissa la targa ufficiale e da un balcone della quale si tengono recentemente i concerti che tanto successo giustamente riscuotono .

Leggo nello stesso articolo che anche la pietra tombale del sommo maestro risulterebbe un " falso" .
Va bene lo stesso purché i visitatori italiani e stranieri che vengono a Cremona ci credano .

Di contro , quello che invece vorrei far presente è lo stato disastroso in cui si trova l'edificio nel quale Fra Cristoforo come scrisse anche il Manzoni ne " I promessi Sposi " - al secolo Ludovico Picenardi - si rifugiò dopo il duello nel quale aveva ucciso il suo antagonista e dove decise di prendere il saio assumendo il nome del suo fedele amico e servitore anch'egli deceduto nello scontro
Si tratta dell'edificio di via Mantova alla rotonda con via dei Cappuccini che dovrebbe essere un monumento tutelato dalla Sovrintendenza alle belle arti e che invece sta andando purtroppo inesorabilmente in rovina senza che nessuno muova un dito per salvarlo
Anche di questo problema il " Vascello " ha parlato !
Visto che quell edificio e una testimonianza vera e non posticcia non varrebbe la pena impegnarsi e tutelarlo ?
Non è strano che si preferisca osannare le cose fasulle e lasciar perdere quelle che hanno un storia vera ?
Mi consenta di cogliere l'occasione per ricordare anche un'altra battaglia che sto portando avanti da tempo quella relativa al debito di riconoscenza nei riguardi di Giuseppe Fiorini il liutaio che donò a Cremona i cimeli stradivariani che non è mai stato degnamente ricordato dalla città e dai suoi rappresentanti.
Gualtiero Nicolini

Alfonso Mandelli non scrisse mai della lapide sepolcrale di Stradivari

Caro Direttore,
nella controrisposta all'arch. Garioni non avevo replicato all'ultima parte della sua lettera non sapendo chi fosse Alfonso Mandelli e la pubblicazione di inizio '900 cui si riferiva. Lo farò ora.
Ho scoperto che è stato sindaco liberaldemocratico di Cremona dal 1923 al 1926, è stato camicia rossa con Garibaldi per la liberazione di Roma, volontario della Grande Guerra. Insomma un personaggio importante della città di Cremona.
Ho letto con interesse e scrupolo il testo da lui scritto 'Nuove indagini su Antonio Stradivari' edito da Hoepli nel 1903.
E' un testo molto ricco di informazioni ed effettivamente si legge che Mandelli è stato testimone diretto dell'abbattimento della Chiesa di San Domenico. Scrive: “mi pare di assistervi poiché non passava giorno ch'io non andassi a vedere il progressivo atterramento della grandiosa Basilica”. Scrive anche di ricordare il fotografo Aurelio Betri che ritraeva “i punti più interessanti della demolizione“. All'epoca Mandelli aveva 19 anni e lui stesso ammette in un passo del suo libro mentre segue i lavori alla Cappella del Rosario “ In quella circostanza ho anche udito il nome Stradivari. Ma io era così giovane – erano trascorsi 34 anni - e talmente digiuno di ciò che volesse significare quel nome, da non comprendere affatto l'importanza delle ricerche...... “
Non afferma, il Mandelli, di aver visto la lapide, ma afferma di essere stato presente quando “cospicui” cittadini erano alla ricerca dei resti del liutaio nella Cappella del Rosario. Non accenna alla lapide sepolcrale, tanto meno che fu subito presa dalle autorità e custodita in città.
Per finire cita un aneddoto che oggi non può essere a parer mio sottovalutato. Si era sparsa la voce che sarebbe arrivato qualche giorno dopo “l'avvenuto sopraluogo di quella Commissione di dotti” il proprietario di un importante Museo di Milano; questi fu visto dal Mandelli uscire dal Sepolcro attraverso una scala a pioli con in mano un teschio con una pronunciata scatola cranica, soprattutto l'osso frontale, affermando in preda all'agitazione che si trattava di quello “del grande Stradivarius”. Non fu preso sul serio e raccolse lo scherno e le risate dei presenti. Altri tre teschi furono presi in consegna dallo studente in medicina figlio dell'assuntore dei lavori.
Per tornare al presente trovo molto interessante la fotografia di Aurelio Betri che si può vedere oggi al Museo del Violino in digitale che ritrae la Cappella del Rosario non ancora abbattuta, in vista quasi frontale, con un teschio posto in una piccola nicchia ad altezza d'uomo sul muro divisorio della Cappella. Era quel teschio ?
Antonius de Lupis


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A proposito di Po, attrazione turistica

Storia di una panchina dimenticata

amarcord di Mauro Tironi

Ciao, sono una panchina e ti voglio raccontare la mia storia.
Ero una delle quattro panchine che assieme a due bei tavoli in legno arredava l'inizio del sentiero lungo il Po, nel territorio di Gerre de' Caprioli.
Mi piaceva molto star lì, vedevo tante persone passare e spesso sedersi. C'era chi andava a passeggio con il cane, chi con la fidanzata e chi passava in bicicletta, spesso sfrecciando a tutta velocità e non sempre con la dovuta attenzione al prossimo.
I momenti più belli li avevo quando i ragazzi si fermavano e si sedevano, noi quattro e i due tavoli eravamo un punto tranquillo per loro.
Giocavano ma sappi che addirittura si fermavano da noi per studiare. Quante lezioni e quanti esercizi ho sentito!
Quasi quasi un esame l'avrei dato pure io...
A farci compagnia poco più in là, una pianta di fichi, d'estate ben gradita alle api e ai passanti.

Poi, un giorno imprecisato che non ricordo, passò di qua una compagnia di imbecilli che decise di fermarsi e organizzare un falò su uno dei tavoli, deteriorandolo irreparabilmente.
Non vi fu alcuna manutenzione, probabilmente perché quel tratto di sentiero fu presto interessato da un pesante e necessario rifacimento della sponda del fiume.
Ci portarono via.

Finiti i lavori, tornai solo io. Delle mie 3 sorelle e dei due tavoli non seppi più nulla.
Come vedi, mi misero girata verso il Po ma ben pochi si sedevano!
Non c'era altro appoggio e quindi non si potevan metter i libri per studiare. Non ero, diciamolo, molto comoda per chi frequentava questo bel percorso.
Diventai presto una panchina solitaria e scarsamente utilizzata, che dava oltretutto le spalle al sentiero e fra me e il Grande Fiume c'eran ringhiere, arbusti e altra vegetazione che, sostanzialmente, impedivano una piena visione del fiume.
E pensare che sarebbe bastato mettermi più a valle di una decina di metri... Lì avrei goduto io stessa di una maestosa visione e son certa sarei stata ancora utile!
Ma era iniziato il mio autunno, non solo meteorologico.

Ora mi vedi, ormai quasi interamente coperta dalla vegetazione. Così concia sono inutile per una sosta, solo una pietosa macchina fotografica ha trovato interessante ritrarmi ancora una volta, forse l'ultima.
Presto tornerò ad esser solo legno, destinato a integrarsi nuovamente nella natura.
Prima che questo accada volevo mandare un ultimo saluto alle persone che hanno trascorso del tempo con me e così facendo mi han resa felice.

Ciao a tutti! E grazie!!!

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Da notare che lungo il percorso ciclabile sterrato verso Isola Provaglio, hanno rasato i bordi per un lungo tratto, ma la panchina è rimasta immersa in un verde che quasi la nasconde come si vede nella foto di Mauro Tironi. Altre panchine sono state derubate delle assi schienali.

Uno straordinario contributo tutto da leggere

Ipotesi sulla esatta collocazione della casa nuziale di Antonio Stradivari, sulla lapide al Museo del Violino, sulla data di morte!

Caro Direttore,
le invio in visione questo mio elaborato per avere un suo parere in proposito. La prima immagine del file allegato è sua (2005), il resto è farina del mio sacco.
Antonius de Lupis

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Il lettore riprende pareccchie motivazioni che furono oggetto di ampio servizio del direttore de Il Vascello. Ben vengano gli ulteriori approfondimenti e segnalazioni che pubblichiamo qui sotto.


Antonio Stradivari si sposa con Francesca Ferraboschi il 4 luglio 1667 e agli sposi è offerta, dal padre di lei,  la casa posta all'attuale civico 59 di Corso Garibaldi (“ Forno Antico “) e non al numero 57 (' Tè per due ') come si ritiene, nella quale abita fino al 1680.

A conferma di ciò la segnalazione dell'Archivio di Stato al Comune di Cremona della dott.ssa Bellardi nel 1987 che rileva l'errore nella lettura dei mappali riguardo alla ricostruzione fatta a suo tempo da Arnaldo Baruzzi nel 1956.

Il mappale 201 della carta del 1855 (bottega e ai piani superiori, si suppone,  l'abitazione di Antonio Stradivari) è erroneamente attribuito, dal Baruzzi, al mappale 202 della carta del 1873 (casa ' Tè per due '). Da questa errata interpretazione il mappale 202 (' Tè per due ') diventa la casa nuziale di Antonio Stradivari con tanto di lapide a ricordarlo. (foto sotto a destra).

Quindi la casa nuziale di Antonio Stradivari è sovrastante la panetteria “ Forno Antico “, allora bottega di 'marangone' del liutaio cremonese, e l'accesso ai piani superiori è dal cortile interno dello stabile ed è visibile nella fotografia a lato.

Si ritiene che l'altana attuale posta nello stabile di ' Tè per due ' sia la stessa visibile nel disegno a sinistra sotto. In realtà ciò non è vero per due motivi.

ll  primo  è  che  l'altana  attuale,  con  tanto  di violini appesi, del caseggiato ' Tè per due ' è molto più in profondità rispetto alla strada, di quella visibile nel disegno.

Il  secondo  è  che  la  casa  rappresentata  nel disegno non è la casa nuziale di Antonio Stradivari sita in corso Garibaldi ma la sua seconda casa, abitata dopo il 1680  e poi demolita, a suo tempo situata in Piazza San Domenico, ora piazza Roma; si affacciava sulla piazza, oggi giardini pubblici, all'incirca dove ora è esposta la lapide che lo ricorda (nella fotografia qui sotto la lapide originale).



A dimostrazione di quanto appena scritto la fotografia d'epoca sopra a destra. Ritrae la casa di Antonio Stradivari sita in piazza San Domenico; si nota l'altana che, a parte la prospettiva, da ragione al disegno  e  l'insegna  posta  sulla  casa confinante  a  sinistra  di  quella  del  liutaio  (all'epoca della fotografia, anno 1880, sartoria) dove si nota  la scritta CAFFÈ CON BIGLIARDO. Si tratta del caffè Roma,   poi   Soresini,   ricostruito   più   grande   nella seconda metà dell '800, sulla superficie occupata dalla casa di Stradivari fino al vicolo chiuso del Vasto che le mappe storiche disegnano fino  al centro dell'attuale Galleria XXV Aprile.


Probabilmente la nuova costruzione voleva armonizzasi con l'architettura del Palazzo delle Poste e del palazzo dove sorgeva la Banca Italiana di Sconto, qui sopra nella fotografia, raccordando i palazzi come era in uso quel tempo.
Nella fotografia a sinistra si nota il caffè-ristorante Roma, poi Soresini, sulla superficie attualmente occupata dalla Galleria XXV Aprile.

La casa confinante a destra di quella di Antonio Stradivari è a tre piani oltre il piano terreno (casa Carlo Bergonzi): si può ancora osservare in una fotografia e nell'altra con il ricostruito ristorante-caffè Roma, poi Soresini; le facciate delle case sono del tutto simili come sembra essere evidente in queste fotografie messe a confronto.

Sulla lapide posta nella Chiesa di San Domenico

Ernesto  Fazioli  scattò  questa  fotografia  negli anni '30 quasi sicuramente nella chiesa di San Luca a Cremona.

A testimonianza di ciò la lapide a muro che si vede in secondo piano che l'abate Tommaso Agostino Vairani, nelle “ Inscriptiones Cremonenses universae Manini excudebat 1796 ” colloca con il numero 1568 in questa chiesa.

Si può notare che la supposta lapide della tomba di Antonio Stradivari e dei suoi eredi è di forma rettangolare e il suo lato più corto, la base, è di circa un metro (la larghezza della vera da pozzo).

La vera da pozzo, posta nel cortile della casa, verosimilmente al centro dell'attuale galleria XXV Aprile (si veda la pianta allegata pubblicata sul mensile Cremona nel 1929) ad uso della famiglia Stradivari, si ritiene di questa dimensione comparandola con la vera da pozzo della stessa foggia tuttora presente al piano terreno, al centro di una stanza, di Palazzo Grasselli in via XX settembre e nel cortiletto di casa Sperlari, in via Palestro, a questa molto simile.

Ora ci si chiede: come può ritenersi originale, cioè effettivamente collocata a suo tempo nella chiesa di San Domenico, la lapide posta fino a poco tempo fa al Civico Museo di Cremona, di forma rettangolare con il lato corto di circa 70 centimetri, traslata al Museo del Violino? Se questa fotografata dal Fazioli fosse quella originale si dedurrebbe che la lapide del Civico Museo, ora Museo del Violino, e quella posta al Pubblico Giardino (copia) laddove era presente la tomba di Antonio  Stradivari  ed  eredi,  nella  Cappella del Rosario della chiesa di San Domenico, di dimensioni più contenute, sono anche queste delle  semplici  copie.

Qui di fianco un'altra fotografia dei primi del '900 della lapide 'originale' della tomba di Stradivari pubblicata dal mensile Cremona nel 1929.

A sostegno della precedente tesi, ma anche a smentire l'originalità delle lapidi fotografate in tempi diversi, è ancora l'abate Tommaso Agostino Vairani, il quale nelle sue “  Inscriptiones  Cremonenses  universae Manini excudebat 1796 ” al numero 923, trascrizione diretta della quale è fedele testimone, scrive:

Ulteriore  testimonianza  è  riportata  da  F.J.Fétis  –  Brusselles,  nel  libro  tradotto  da  John Bishop, edito a ' London: Robert Cook and Co. ' nell'anno 1864 dal titolo ' Notice of Antony Stradivari, the celebrated violin-maker, known by the name of Stradivarius ' il quale nelle pagine qui riprodotte scrive:

All'attento lettore di questo scritto la deduzione logica.

Di chi è questo teschio nella distrutta Cappella del Rosario?

Dettaglio della foto di Aurelio Betri scattata durante la distruzione della Cappella del Rosario a San Domenico, dove era presente il sepolcro della famiglia Stradivari. Se ne parla nel dibattito nella colonna di sinistra