di Massimo Terzi
L'immediato dopoguerra, .ha fatto prevalere tra gli intellettuali l'ottica storica della conservazione totale e l'illusione di un recupero dell'ambiente urbano antico». Questa è subentrata all'altra mania, che nel precedente mezzo secolo ha influenzato la cultura architettonica italiana: quella del nuovo.
Era perciò necessario un perido di riflessione critica anche se purtroppo non ha prodotto i risultati sperati. Forse attraverso il lavoro di tutta una generazione bisognava imparare a leggere «la città», ad interpretare le quinte stradali urbane, gli spazi formatisi per sovrapposizione di successivi interventi, perché emergesse tutto il valore ed il significato della costruzione della città medesima.
Ma vediamo che cosa ha contribuito al formarsi di questa posizione irriducibilmente conservatrice.
Il periodo fascista ha caratterizzato con pesanti trasformazioni Urbanistiche ed edilizie quasi tutti i centri storici delle città italiane. Ovunque si è agito, sostanzialmente, secondo una prassi comune con motivazioni culturali economiche e sociali identiche.
All'epoca la nostra città subiva già una sorte marginale rispetto ai. processi di lento sviluppo industriale che si sarebbero svolti lungo le direttrici sub-alpine ed emiliane.
Cremona non seppe sottrarsi alla grande aspirazione, comune peraltro a tutti i centri urbani di rendere moderna la propria immagine con lavori pubblici di sventramento, riforma ed abbellimento che, in gran parte, dovevano imprimere i caratteri fondamentali del «decoro cittadino».
Il piccone «fascisticamente» demolitore, manovrato con abilità ed entusiasmo dal regime e dalle grosse concentrazioni economiche (l.N.A., Adriatica, LN.P.S., Associazione Agricoltori) fu lo strumento che risolse in modo, oggi inaccettabile, ma certo coerente con gli obiettivi dell'autorità dell'epoca e con i problemi urbanistici, economici e sociali che affliggevano in quegli anni la città.
I rinnovamenti si concentrarono pesantemente su una vasta area nel centro della città sventrando e violentando le leggi aggregative degli antichi quartieri centrali, (1930 demolizione per la costruzione della Galleria; 1934 demolizione del Convento di S. Bartolomeo per la costruzione del Palazzo degli Uffici Governativi; 1935 demolizione Palazzo Galizioli per la costruzione del palazzo dell'Adriatica; 1936 demolizione del Convento di S. Angelo e dei quartieri vicini su cui sorgerà il Palazzo dell'Arte; 1937 demolizione dei quartieri tra corso Stradivari e via Gramsci per la costruzione del palazzo l.N.P.S.; 1938 demolizione del quartiere tra Piazza Cavour, via Baldesio per la costruzione del palazzo del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa; 1938 demolizione della testata dell'isolato posto tra via Ala Ponzone, via Monteverdi e Piazza Marconi per la costruzione della sede del Regime Fascista).
"...Eliminare il vecchiume, rappresentato generalmente dai quartieri più poveri ed affollati"
foto Ernesto Fazioli
La questione del risanamento igienico dei quartieri fortemente degradati già iniziata e sostenuta dalla metà dell'Ottocento in poi si radicalizza; il «piccone demolitore» viene tatto lavorare indiscriminatamente e diventa uno dei maggiori emblemi positivi della propaganda del Regime.
Infatti eliminare il vecchiume, rappresentato generalmente dai quartieri più poveri ed affollati, dove si ammassava la parte più povera della popolazione urbana era considerato un elevato obiettivo sociale per il quale si mobilitavano i moralisti e gli speculatori e soprattutto i tecnici ed i politici.
In pratica però questa esigenza di sventrare la città e rinnovarla, senza esitazioni romantiche, servì largamente per mettere in atto quegli interventi che avevano, come prima conseguenza, l'allontanamento dei ceti meno abbienti dalle aree degradate centrali, i cui suoli, valorizzati dall'esecuzione delle opere di grande costo,, venivano liberati e poi rimessi sul mercato con lauti guadagni.
Quando si parla di architettura contemporanea è difficile riconoscere in una determinata opera un sistema logico, senza caricarlo, anche se con il senno di poi, di pregiudizi che derivano dalle proprie attuali radicate convinzioni sulla costruzione del paesaggio urbano e dell'ambiente.
lo parto dal presupposto ideale che l'obiettivo è il progetto di un territorio equilibrato, di una città attrezzata ed ordinata, di una architettura adeguata alle necessità. Se questo è il grande fine della disciplina, compirà al meglio la sua funzione quell'urbanistica che, unitamente ad altre componenti, consentirà la realizzazione di un progetto giusto, quindi ben correlato con l'ambiente circostante. Se questo non avviene, solo raramente esistono belle architetture che, da sole, hanno la capacità di riscattare l'ambito circostante.
Per queste ragioni il giudizio civile sulla politica urbanistica del fascismo resta negativo mentre permane il rimpianto per la grande occasione perduta, quella cioé di aver snaturato il centro quando invece bastavano delle semplici operazioni igienico-sanitarie o di straordinaria manutenzione per mantenerlo intatto. Il mio giudizio sull'essenza e sui linguaggio architettonico di quel periodo risente delle considerazioni sopra.espresse. Pur con la prudenza determinata dalla consapevolezza che è espressione di un certo clima culturale e che rappresentava pur sempre una voglia di cambiamento
D'altra parte è giusto riconoscere che allora la conservazione del tessuto urbano implicava soluzioni difficili che, ancora oggi, solo talvolta, si perseguono, con qualche sperimentazione scarsamente sostenuta. dalla volontà politica, dagli strumenti legislativi e da una ben più progredita elaborazione culturale.
Non è qui mia intenzione soffermarmi su una descrizione dettagliata dei singoli interventi, ma tento di connetterli in un giudizio. La caratteristica più appariscente della nuova edilizia, specialmente quella realizzata nel cuore della città, è quella di essere volutamente diversa rispetto alla formazione dell'ambiente preesistente, senza cercarne o senza riuscire a coglierne le necessarie correlazioni.
Dalla progettazione, dalla scelta delle tipologie, dei materiali e dei colori traspare un'insofferenza per l'ambiente storico, costituito dalla tradizionale edilizia minore, e l'ambizione di aspirare a modelli urbani di altre aree più sviluppate.
"...Un'architettura volutamente diversa "
L'architettura nuova non è adeguata al contesto ed è spesso fuori scala: si distrugge il vecchio ambiente senza crearne il nuovo, senza che ci sia la pòssibilità di leggere nuovi ed accettabili rapporti tra gli edifici, tra il singolo edificio e l'ambiente. L'architettura è pesante e retorica con quel voluto senso di voler passare alla memoria dei posteri.
Sono palazzi tronfi, spesso dotati di portici di grande altezza, coperti di marmi, con colonne, lesene, stipiti massicci, timpani di ogni stile e forma, nicchie, mensole e mensoloni. Compaiono i primi tozzi grattacieli e le torri altane in stile littorio. E il trionfo di materiali inconsueti alla tradizione padana; del travertino, del botticino, del cipollino, del verde alpi, del ceppo profusi senza economia, oppure delle composizioni in marmo e laterizio nel timido tentativo di mimetizzazione ambientale.
Si pone attenzione al monumento famoso, all'edificio che era funzionale all'idea nazionale dell'Italia «produttrice di bellezze di cultura» mentre si eliminano le testimonianze «minori», quelle lodali, corrette, essenziali, legate alla storia reale dei cremonesi. L'esempio più clamoroso e significativo è costituito dal palazzo del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa, ora Camera di Commercio. Il carattere retorico del complesso è espresso soprattutto dalla torre-altana e dalle dimensioni del porticato che doveva concludere degnamente la P.zza Littoria.
Le facciate sono rivestite in serpentino verde a spacco e fasce levigate nella parte inferiore, in travertino, nella parte centrale, ed in mattoni paramano rossi lateralmente, nel tentativo di armonizzarsi con il palazzo del Comune 'ed il Torrazzo. Tale volume, insieme a quello più contenuto dell'Adriatica, oltre a modificare irrimediabilmente la piazza Piccola, contribuirà a ridurre la forza d'immagine del centro Monumentale.
Dalle considerazioni sopra elencate non vorrei si ricavasse l'idea che sono favorevole con chi vorrebbe radere al suolo gli edifici del periodo fascista.
La logica del caterpillar che cancella pur sempre una fetta di storia è sbagliata. Si rischierebbe di aggiungere ad un errore un altro errore. Di livello molto superiore, anche se interpretano in modo discutibile l'ambiente fluviale, mi sembrano le architetture delle Colonie Padane e della Baldesio. Libere dai vincoli che imponeva il reticolo urbano e da alcuni schemi formali precostituiti, sono dal punto di vista compositivo fra le architetture più interessanti del periodo e quelle che più facilmente si prestano ad una valorizzazione ed una destinazione, che già di fatto svolgono per il tempo libero. Esempio interessante di costruzione «marinaresca e piroscafo» con ponti ed oblò, emblematicamente aderente alla destinazione d'uso la prima, architettura agile e dinamica caratterizzata da un plastico movimento di massa la seconda.
Così pure sono degni di considerazione per l'originalità delle citazioni e l'uso di materiali poveri rispetto alle tendenze predominanti dell'epoca, il palazzo dell'Arte dell'arch. Carlo Cocchia ed il santuario di S. Antonio dell'arch. Giovanni Muzio. Rimarranno le sole opere, firmate da progettisti di chiara fama, che dal fascismo ad oggi Cremona potrà vantare e che verranno citate sulle guide all'architettura moderna.
Per quanto diversi e circostanziati possano essere i giudizi sul linguaggio architettonico espresso dal periodo fascista credo che, invece, possa essere sicuramente positivo quello che riguarda la professionalità dei tecnici e delle ovunque traspare la tensione verso il controllo assoluto del lavoro. L'edificio è un'opera in cui ogni parte deve essere in rapporto con il tutto secondo una concezione che non disdegna di applicarsi con eguale rigore al disegno di una maniglia o di un gradino fino allo studio delle componenti più marginali.
La cura prestata alla risoluzione dei problemi esecutivi (compatibilmente con le disponibilità tecnologiche del tempo e le disposizioni autarchiche), emerge sia dalle fonti che dai disegni, sia dalle opere realizzate, ancora pressoché in buonissime condizioni perché studiate in ogni dettaglio.
Tutto ciò dimostra «un evidente amore per il mestiere» ed una manifestazione dell'interesse per il processo costruttivo, come fatto globale dell'opera architettonica, che purtroppo da allora non ha più trovato lo spazio per esprimersi.
"Persistenza d'atteggiamenti "
La carica ideale che persisteva nelle giunte del dopoguerra non produrrà l'inversione di tendenza che si auspicava perché non troverà sempre nella politica urbanistica nè autonomia economica nè obiettivi lucidi e precisi.
(…) Nel compiacimento, tutto provinciale, di una Cremona moderna, si favorì ancora la costruzione di tipologie a grattacielo e a galleria, in aperto contrasto. con la dimensione e la misura della città. La strada del non ambientamento, anzi del contrasto con le preesistenze (rivendicando con ciò il diritto di appartenenza dell'architettura «moderna» all'interno dei centri storici), contribuirà per lungo tempo ad alimentare localmente l'ostilità e l'equivoco nei confronti di una concezione corretta e nuova dell'architettura.
(…) Ritengo che se da un lato occorre preservare i caratteri ambientali e quindi non alterare i sistemi morfologici ed organizzativi degli spazi e degli edifici, dall'altro bisogna adeguare edifici, spazi e luoghi per renderli corrispondenti alle esigenze contemporanee.
Oggi la città (….) possiede ancora grosse opportunità per valorizzare la sua «diversità».
Qualità della vita (che vuoi dire anche occasioni occupazionali e culturali) e qualità residenziali sono quindi caratteristiche da consolidare e migliorare. Le molte occasioni ed opportunità che ancora offre Cremona in termini di spazi liberi ed edifici vuoti (sia del periodo fascista che del passato) sono sicuramente sovradimensionate rispetto alle attuali reali esigenze della città ed alle risorse finanziarie locali. Peraltro sono convinto che queste rappresentino una grande ed unica opportunità per il suo consolidamento e la sua qualificazione, se sapremo attendere e creare le occasioni giuste per il loro impiego.
Nella città ci sono dei luoghi irrisolti perché, dopo gli sventramenti del ventennio, non hanno mai trovato una destinazione formale precisa. Alludo soprattutto a P.zza Marconi ed a P.zza Cavour. Un tempo quest'ultima era ancora un'appendice della P.zza del Duomo sulla quale si svolgeva normalmente il mercato (v. foto Fazioli).
Una struttura ben configurata disegnava tre spazi comunicanti, le Piazze del Duomo,della Pace e quest'ultima; ben definiti e coerenti tra loro nella gerarchia delle dimensioni e delle funzioni. Mentre P.zza della Pace ha trovato forse una sua identità ed una sua funzione, l'antica P.zza Piccola è irriconoscibile (ed oggi cancellata- ndr).
Due proposte del 1992, ad esempio
La Galleria
L'uso del verde, a titolo mimetico, è un segno troppo timido e poco efficace rispetto all'importanza del luogo per nascondere l'incapacità a restituirgli un suo significato. Forse un intervento di redesign complessivo della piazza e degli edifici che vi si affacciano, inteso a garantire la «riconoscibilità» del luogo e l'appartenenza ad una certa struttura urbana, renderebbe giustizia all'intervento più brutale che sia stato consumato, nell'arco di sessanta anni, nel centro della città. La brutta Galleria, progettata dall'architetto milanese Baciocchi, ha rappresentato per Cremona il compiacimento tutto provinciale di confrontarsi con città più accreditate (in modo particolare con Milano) e quello più concreto di supplire alla mancanza di portici.
(…) Durante una seduta di una Commissione Edilizia di alcuni anni fa avewo sollecitato l'intervento dell'Amministrazione perché la Galleria assumesse un aspetto più allegro attraverso il ripristino delle decorazioni pittoriche delle volte, i necessari accorgimenti per migliorarne la luminosità, il coordinamento degli arredi e l'inserimento degli elementi necessari per trasformarla in un «salotto».
Conflitti di competenze tra Amministrazione e proprietà dell'immobile non ne permisero l'attuazione.
Eppure la tipologia dell'edificio si presta, con opportune aggiunte ed adeguamenti, ad esaltare la sosta e stimolare la «promenade».
Oggi l'architettura ha più il senso della leggerezza, dell'effimero, della «boutade».
(…) Personalmente ritengo molto importante che le opere di ade9uamento per una migliore riutilizzazione di un edificio datato, non vengano sopraffatte da illusori desideri di storicizzazione, né vengano deviate da rifacimenti in stile, ma abbiano carattere di reversibilità e non incidano, quindi, irrimediabilmente sulle strutture in modo da essere facilmente rimovibili.
Credo sia importante garantire, anche in futuro, l'uso dell'edificio in maniera diversa, con diverso intendimento e secondo una nuova sensibilità interpretativa.
Palazzo dell'Arte Piazza Marconi
Una maggior valorizzazione meriterebbe anche il Palazzo dell'Arte 'e l'ambito circostante. Sul palazzo ha pesato, per lungo tempo, un giudizio negativo dettato forse da posizioni ideologiche preconcette,, che, una volta dimenticate, permettono ora una valutazione obiettiva che ne mette in risalto la concezione ed il tentativo, rispetto agli esempi precedenti, di correlarsi con l'architettura locale con un impiego originale dell'uso del cotto.
Ma il Palazzo dell'Arte è legato indissolubilmente a P.zza Marconi. E proprio dal vuoto di questa piazza che il palazzo trae la sua potenzialità espressiva e la sua destinazione costituisce una grande occasione per la qualificazione della città. Credo si possa affermar.e che un vuoto edilizio nel tessuto urbano sia un potenziale patrimonio: sia che lo si voglia riempire, sia che lo si voglia conservare come area libera.
Per questa ragione concordo con le indicazioni dell'Ordine degli Architetti per un concorso di idee (in alternativa al concorso di appalto) che offrirebbe un opporuno confronto d'ipotesi progettuali individuando diverse soluzioni possibili, non essendo scontato, per il futuro funzionamento della città, che la destinazione a parcheggio, a priori, possa essere l'idea migliore.
• A sinistra sopra, la piazza Marconi secondo la planimeria in fase di realizzazione.
ARGOMENTO COLLEGATO: Piazza Stradivari, lasciamola com'è.