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Aurelio Betri: case e negozi addossati all'ingresso nord del Duomo di Cremona e a destra, la chiesa di S. Domenico demolita con tutte le abitazioni intorno per realizzare i giardini pubblici di Piazza Roma. Sotto botteghe adossate al Duomo in via Boccaccino.
(a.l.) - Forse mai come nel dicvembre 2010 le strenne hanno spaziato fra Otto e Novecento, con un forte accento di cremonesità. E con grande successo. Sarà stato l'avvicinarsi dei 150 anni dell'Unità d'Italia che porta inevitabilmente al Risorgimento e a quello spirito patriottico che prese un po' tutti. Sarà pure che quando si guarda all'indietro abbastanza per riferirci ai nonni ed ai bisnonni, in tutti noi prevale un senso di nostalgia del tempo che fu ( quasi mai veritiero se si indugia a pensarci bene, ma che importa… meglio l'ottimismo alla rovescia.).
Così i cremonesi si sono precipitati a riconoscere, ad esempio, i proverbi cremonesi raccolti da Luciano Dacquati, i clienti della Popolare Cremona stanno sfogliando le immagini di un Museo quasi dimenticato come quello del Risorgimento, gli appassionati d'arte rivedono i pittori cremonesi del Novecento (che vanno ben oltre la provincialità, con un fervore creativo che giustifica davvero il rimpianto) e altrettanto grande successo sta riscuotendo l'ultima impresa di Giuliano Regis insieme a Elisabetta Bondioni che offre gli eccellenti recuperi diretti di fotografie del periodo e la stampa da lastre originali realizzati da Pietro Diotti e Microdata Group.
Il libro si intitola "Aurelio Betri e gli altri - Cremona letta dai fotografi fra Otto e Novecento", è uscito per le edizioni della Libreria del Convegno e gode dell'ottima stampa de La Grafica Cremonese, rispettosissima, gran pregio, dei toni e delle calibrature delle foto originali.
All'impresa hanno collaborato in uno splendido spirito di collaborazione (da sottolineare) l'Archivio di Stato, la Biblioteca Statale e il Museo Ala Ponzone.
Il riversarsi nella Cremona di ieri emoziona molti lettori. La sequela delle immagini permette di constatare come mai era avvenuto in precedenza la grande qualità raggiunta in primo luogo da Aurelio Betri, ma anche l'eccellente grado di capacità di diversi altri che hanno animato il panorama della fotografia cremonese in quegli anni. Tutto giustifica quanto si era piuttosto empiricamente sostenuto fino ad oggi, ovvero che Cremona è stata davvero un caposaldo della fotografia italiana sin dai suoi primi passi.
Trovo in più un valore aggiunto. A non farsi prendere dalla nostalgia, queste immagini raccontano in modo evidentissimo due situazioni psicologiche e umane che hanno dettato lo sviluppo della città per diversi decenni.
Il primo è l'aggrapparsi della città alle testimonianze del suo antico splendore, quasi a trovare conforto e speranza nella grandezza degli antichi monumenti.
E' una città ripiegata su se stessa che ha perso l'antico ruolo di grande capitale comunale europea, è la città divenuto paese che soffre la miseria e vive in molti tuguri anche all'ombra del Torrazzo, la Cremona che col censimento del 31 dicembre 1871 conta (Corpi Santi compresi) 28.574 abitanti, una Cremona che in tre mesi dal luglio al settembre 1867 registra 93 vittime per effetto della devastante epidemia di "cholera" che nel giro di sei mesi produce quasi tremila vittime nel territorio provinciale.
E questa medesima città, ancora, nel 1885, lamenta che "mentre le vie sono popolate dalla gente, il carrettone dei vajuolosi - con quei fanale acceso che manda una luce tristemente cupa, con quei necrofori che resi indifferenti dall'abitudine entrano nelle case della sventura come entrerebbero in altro luogo - andava a prendere i morti… . E la stessa raccomanda alle autorità comunali, con la indifferenza di chi vede il contagio fatale come una normalità, di "evitare questi tristi spettacoli che si offrono a chi va tranquillamente a passeggio e per i propri affari. Si faccia come a Milano: il trasporto dei morti per malattie contagiosa si operi nelle ore di notte, e di notte avanzata".
E' ancora una Cremona dove il 59 per cento della popolazione nel 1882 è analfabeta.
C'è nelle foto questa Cremona dolente, dove la rincorsa è a procurarsi il lavoro per un tozzo di pane e un bicchiere di vino (anche più), non appena si può.
Ma si coglie, nel contempo, quel che scaturisce dal rinnovamento risorgimentale: un anelito di modernità si esprime nelle case da demolire , in primis attorno al Duomo, ma anche e nello stesso modo con la caduta delle mura del passeggio elegante che dominano le casupole del quartiere "Croazia".
Il tutto come si risolve? Un giardino, soave e fiorito in pieno centro che deriva dal''abbattimento della Chiesa di San Domenico, certo un disastro monumentale, che oggi non troverebbe alcuna giustificazione, ma che nello spirito del tempo non è soltanto la espressione del forte sentimento anticlericale che si accompagna alla nascita dell' Italia, ma è pure il riscatto della città dallo stato di abbandono, dalla insalubrità delle casupole, da quei vicoli puzzolenti che si intersecano anche in pieno centro. Sono i poveri a vedere per primi il tutto con una forte partecipazione, come se la caduta di ogni pietra, di qualsiasi pietra alimenti la indomabile speranza ( la illusione) di riscatto dalla povertà. Guardate i gruppi nelle fotografie di Betri che montano orgogliosi sulle macerie della chiesa di San Domenico. Siamo nel settembre 1869.
Il lavoro di Regis e Bondioni è molto di più che un album di fotografie. Non è un revers romantico e nostalgico, deve essere valutato - come sempre quando la fotografia raggiunge il suo più alto livello - come una straordinaria testimonianza di verità, occasione di riflessione e di consapevolezza.
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Nelledue foto finali, dentro il testo, l'’albergo Italia di corso Campi, la carrozza è messa in bella posa ad attestare l’elevato livello dei clienti che lo frequentano. La fotografia è in parte colorata a mano. Rinaldi, primi anni del Novecento.
Poi gli operai della bottega del ‘mastro’ Omobono Duca, fabbro ferraio. Lavoravano anche bambini di nove, dieci anni che dopo la terza elementare iniziavano l’apprendistato azionando il mantice della fucina per imparare l’arte del fabbro. All’epoca la capacità di lavorare il ferro era essenziale anche per i meccanici che sovente dovevano prepararsi i pezzi grezzi, tant’è che alcune botteghe univano le due attività. Duca è in primo piano con il grembiule nero ed esibisce il martello, strumento fondamentale dei battitori e simbolo, con l’incudine, della professione. I due figli maschi hanno continuato a fare il mestiere del padre. Anonimo, primi anni del Novecento.
Infine a tutta pagina, ecco Porta Po, realizzata su progetto dell’architetto Luigi Voghera nel 1825, e demolita nel 1908, vista
dall’esterno. Gerola e Boni, primi anni del Novecento.
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Nel dicembre 2014 è uscita del libro una seconda edizione apmpliata, con l'aggiunta di altre foto di Betri e dell'archivio Casella. E' ugualmente edita dalla Libreria del Convegno.