Una fortuna singolare: sabato 26 e domenica 27 novembre due traduttrici cremonesi hanno spiegato, con temi diversi, l’etica della traduzione da altre lingue.
Ognuna dotata di un “curriculum” molto nutrito, come si usa oggi presentarsi su “facebook”, ha tenuto una vera e propria lezione: Elena Cappellini all’ADAFA su “Robinson Crusoe, Tournier e Coetzee. Un mito europeo, tra identità ed alterità”; Franca Cavagnoli al “Cattaneo” ha presentato, per iniziativa della libreria “Ponchielli”, un ritratto del giovane James Joyce che nel 1914 ( aveva 34 anni) e nel 1916 aveva già offerto parecchio di sé e del suo ambiente di Dublino.
Elena Cappellini, dopo un panorama storico culturale dell’Europa a partire dall’Alto Medioevo, ha illustrato il canone letterario dell’epica coloniale inglese, durante la quale anche la lingua dei “bianchi”, la loro letteratura erano strumenti di dominio, non dei corpi ma dell’animo, nell’elaborazione della propria visione del mondo.
“Robinson Crusoe” di Defoe, una lettura piacevolissima dalla preadolescenza di due-tre generazioni fa, era realtà, uno strumento diabolico per confermare la superiorità razziale inglese in un duello di “servo-padrone”. A rivelarlo: prima la manipolazione della trama da parte di Tournier, ma soprattutto con Coetzee nel 1986 il rapporto schiavo (Venerdì)-padrone(Robinson) subisce un viraggio esistenziale così vero-reale, da spiegare non solo il processo di decolonizzazione, ma i motivi oscuri di quella secolare violenza rovesciatisi nel suicidio dell’Europa nella sua “guerra civile” durata 30 anni: 1914-1945, sparendo,ora, come soggetto politico, dalla scena mondiale.
Franca Cavagnoli ha offerto un’analisi filologica, estetica, linguistica, persino esistenziale dell’opera di Joyce giunto al punto di “inglesizzare” l’irlandese sua lingua materna; considerando che la “parola” è la “culla dell’Essere”, è impossibile una traduzione perfetta; la “resistenza” alla traduzione è insormontabile. Cavagnoli ha confessato di aver deciso, in casi dubbi, di riprodurre il “corpo sonoro” del testo, denso di movenze psicologiche ( “coazioni a ripetere”), sensazioni, impressioni, sentimenti, sogni e realtà.
Entrambe le Traduttrici convergono sulla impossibilità della traduzione perfetta, sulla capacità dell’arte di dare voce a chi non l’ha per status sociale e ambientale; sulla capacità della traduzione, (“mai indolore”) di avvicinare “l’altro” ( e non stargli appena accanto come nella globalizzazione attuale) e di fecondarne l’anima con la propria diversità culturale. “La diversità deve coesistere con l’unità”(Cappellini).
Giovanni Borsella