Fatti e memorie non solo locali



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"I Gendarmi della Misericordia"

Ecco la seconda puntata

La festività del 2 giugno celebra l'Italia Repubblicana. Che sancisce l'anelito della Nazione a un futuro fraterno, sanzionato dalla Costituzione Italiana, quella originale, la più profonda e onesta del mondo. Che ci ha sostenuto nella decisione di aprire una serie a puntate che "Il Vascello" intitola " I gendarmi della Misericordia".

Sono ricordi pro questo Paese incendiato dalle divisioni, senza "Misericordia", appunto. Certo, alcuni articoli potranno essere accantonati da alcuni come "contro". Contro chi? I farisei che continuano a rifarsi la verginità e gli speculatori ideologici.

2) La tragedia di Annibale Guarneri : spiragli d'umanità in Ortalli e Jaeger

di Giovanni Borsella

Un colpo di pistola sparato dal caporalmaggiore Ernst Wolf ad altezza-uomo a 200 mt di distanza, colpiva alla testa fulminandolo il povero Annibale Guarneri. Erano le 16, 30 del 22 gennaio del 1945 ( mancavano 3 mesi alla fine della guerra); imbruniva nella immensa spianata innevata della “Pioppa”, riserva di caccia dietro Stagno Lombardo, a poco più di mezzo Km dal Po ed altrettanto dalla villa padronale sul rettifilo proveniente da Ca’ de’ Gatti.

Annibale Guarneri, 57 anni, originario di Cella Dati, conduttore di un grande complesso agricolo ( comprendeva Ca’ Bruciata Cornocchio e Cornacchino) inseguiva una martora con altri sei amici, tra i quali il podestà Eugenio Bragadini. Quell’animale da pelliccia era una preziosità, le sue tracce nella neve lasciavano ben sperare pur perdendosi tra il pietrame dell’ex “colonia Farinacci” ormai dismessa.

La dinamica della tragedia è riferita dal Podestà al capo della Provincia, il parmense avv. Vittorio Ortali e, per conoscenza, alla gendarmeria tedesca di Sospiro:” I lavoratori, che erano con me, mi consigliarono di tornare a casa a prender il fucile da caccia, quando ci raggiunsero tre colpi di pistola; uno colpì Annibale Guarneri che si accasciava tra le mie braccia, spirava immediatamente senza proferir parola. Gridai il nome il sergente tedesco Karl Jmolauer, 23 anni, di Behringersdorf che comandava una pattuglia di 10 soldati di ritorno dal Fiume”, dove si eseguivano lavori della TODT antiaerei".

Ernst Wolf, 33 anni del 3° Pionierlehrbattallion, conferma la versione del Podestà aggiungendo di aver visto muoversi delle teste in mezzo a un campo di mais, i cui gambi erano alti 1,20 mt, quando era iniziato il coprifuoco. Jmolauer gridò una, due volte verso di loro:”Fermi! Cosa succede?” senza ottenere risposta. Ho visto spuntare un fucile dal campo puntato verso di noi…Ho avuto l’impressione che volesse mettersi in posizione; alcuni commilitoni imbracciarono i fucili..Jmolauer disse che voleva sparare lui…solo dopo quei colpi i civili si fecero riconoscere a voce alta”.

Il verbale dell’interrogatorio di Karl Jmolauer condotto dalla Platzkommandantur di Cremona( in Palazzo Trecchi) fu portato ad Ortalli. In esso si legge:” Sono persuasi di aver agito in modo adeguato ( richtig): non capivo cosa facessero quei civili a quell’ora nel nostro territorio. Dal loro comportamento erano persone sospette”.

Anche la testimonianza del maresciallo Thiel viene convalidata dall’ufficiale dr. Theodor Neuhaeuser con l’aggiunta: “Il Podestà era autorizzato all’uso del fucile a due canne, ma si scordò di informare la compagnia del Pionierlehrbatallion che aveva intenzione di far legna in quella zona".

Nell’Archivio Storico di Cremona si trovano i documenti conclusivi della tragedia: Il comandante Jaeger precisa ad Ortali che Jomolauer può esser giudicato solo da un tribunale di guerra tedesco secondo il diritto di guerra; riconosce la buona fede di Jmolauer e lo trasferisce ad un’altra compagnia ( a Zibello) per mantenere il rapporto cameratesco tra la Wehrmacht e il Fascio di Pieve d’Olmi.

Nella risposta di Ortali a Jaeger si legge "la decisione di un sussidio adeguato alla famiglia di Annibale Guarneri con 6 figli e la preghiera del suo interessamento per far rientrare il figlio Sandro internato (come IMI, non prigioniero di guerra) nel lager a Schoenbeck-Elba Magdeburgerstr. 117. Purtroppo il 16 gennaio un tremendo bombardamento a tappeto polverizzò la città di Magdeburgo e dintorni.

Credo che Jaeger, persona di buon senso nella cornice infernale della guerra, abbia tentato di farlo rientrare, ma invano". Il fratello di Sandro, Rino, mi ha riferito che Sandro Guarneri è tornato, ma ”che io sappia, non abbiamo ricevuto aiuto da nessuno”.

La registrazione della tragedia nel registro dei morti di Pieve d’Olmi è commentata e connotata secondo la vulgata dei “vincitori”.

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NOTA - In questa ricostruzione ci siamo serviti quasi esclusivamente dei documenti trovati e gentilmente resi disponibili:
dall'Archivio Storico di Cremona (Prefettura, Ufficio di Gabinetto, anno 1945, busta 344 e ss); dall'Archivio Comunale di Pieve d'Olmi; dall'Archivio Parrocchiale di Pieve d'Olmi.
Abbiamo così reso accessibili documenti inediti: due in italiano, gli altri in tedesco, rispettando la punteggiatura originaria. Altri fatti di sangue sono successi in questa storica borgata, che vanta, fin dalle sue origini millenarie, eventi molto significativi. Volutamente abbiamo evitato la contestualzzazione storica, che potrebbe incorniciare altre tragedie a Pieve d'Olmi.Siamo poi convinti che i gentili lettori sapranno valutare gli eventi qui testimoniati senza bisogno di alcun suggerimento. G.B.

1) Isola Provaglio, Brancere: l'assassinio di un povero soldato della Wermacht

di Giovanni Borsella.

Nell'incrociare documenti e testimonianze dirette, ci è stato possibile ricostruire la tragica fine di Leo Werner, un povero soldato della Wehrmacht al ponte della “Morta” vicino al cimitero di Brancere, frazione di Stagno Lombardo. La tragedia “inutile” è avvenuta il 26 aprile, il giorno dopo l’armistizio.

fotografia di Antonio Leoni ©

Leo Werner, 43 anni compiuti il 2 febbraio, originario di Bausen, un piccolo centro nella affascinante landa di Lueneburg tra Luchow e Uelzen, faceva parte delle centinaia di soldati hitleriani in ritirata precipitosa diretti a Nord, verso casa, incalzati dalle divisioni alleate in Emilia. Il Po era una barriera tremenda: cercavano di attraversarlo in tutti i modi, anche con illusori fasci di gambi di granturco: questi si impregnavano di acqua e loro, i soldati, appesantiti dalla divisa e dalle armi, annegavano a decine.

Così ci ha raccontato Franco Cattadori, dell’ “Isola Provaglio”, 64 anni, figlio di Angelo testimone diretto con diversi altri di quell’apocalisse. Nella sua cascina sulla sinistra del Grande Fiume una settantina di loro, verso mezzogiorno stramazzarono esausti in cortile, dopo aver ammucchiato su un carro agricolo tutte le loro armi. Franco mi ha indicato dov’era il carro col suo pianale pieno di marmi: segno evidente che si sarebbero arresi ai “partigiani”.

Ho avuto occasione di avere da due testimoni diretti i particolari della tragedia di Werner: il geometra Gino Saccani di Brancere e Cecilio Pedrini di Ettore, scomparso un anno fa, originario di San Pietro in Cerro, , a Brancere a 3 anni col papà Annibale bergamino nella cascina “Alluvioni” , allora dei fratelli Franco ed Argento Germani.

La testimonianza di Saccani, morto il 9 dicembre del 2002, è riprodotta anche nel “Diario Parrocchiale” dal 1962 al 1987, dopo esser stata dallo Stesso verificata in presenza dell’arciprete don Aldo Grechi e deposta nell’archivio parrocchiale.

Saputo dell’arrivo dei soldati in ritirata nella cascina, “abbiamo formato due gruppi di partigiani ognuno di una 15na di persone…Arrivati in cascina assistetti ad uno spettacolo sorprendente: una settantina di soldati ci aspettavano in ginocchio, disarmati al centro del cortile…Implorarono clemenza. Raccolte le armi ci siamo diretti verso Stagni Lombardo. Io mi fermai in cascina ma poco dopo ho saputo che uno dei prigionieri era stato mitragliato. Un brutto fatto, che mi fa male ricordarlo: vicino al ponte colatore( detto oggi ponte della Morta sul Morbasco) c’è un arginello. Venendo da Brancere in direzione Isola Provaglio, una trentina di metri oltre l’arginello, giaceva il corpo del povero soldato disarmato con un proiettile in fronte”. Questo particolare sarà confermato dalla riesumazione del suo corpo.

Saccani continua:” La gente che veniva dal paese inorridiva. Chi sparò disse che il soldato aveva cercato di scappare. Chissà se sarà vero!…doveva esser sui 40-45 anni…sotterrato nel nostro cimitero, una decina di anni fa è stato riesumato e sono stati portati via i suoi resti mortali”.

La testimonianza di Cecilio Pedrini mi è stata resa dinanzi al fotoreporter de “La Cronaca” Francesco Sessa a cui si riferisce la foto a destra, controfirmata dal testimone in presenza del collaboratore giornalistico: ”Arrivati in cascina dell’Isola Provaglio, i soldati si sono arresi, ma uno di loro si è nascosto per paura dei partigiani in una cantina all’esterno della cascina; una donna scende in cantina e lo scopre, gridando di spavento. Avvertiti i partigiani, sono andati a prelevarlo Gino Alloni e Boeri che abitavano al “Cantone”. Il Tedesco tremava tutto, aveva paura che gli facessero la pelle. Fatto sta che al ponte della “Morta” ha cercato di scappare nella boschina. (…). Gli spararono nella schiena da una ventina di metri, non è morto, urlava dal male, allora un altro lo stramazzo con un colpo di pistola in fronte. Il mitra che aveva sparato era italiano. Il primo partigiano diceva a tutti che era comunista…Dopo l'assassinio aggiunse contento:”Uno in meno!”.

Quello che ora segue dice quanto possa essere anche vile la faziosità.

Dal Volksbund Deutsche Kriegsbraeberfuersorge a Kassel, sezione Graeberdienst, Referat Angehoerigenbetreuung abbiamo ricevuto la carta d’identità del povero Leo Werner, caporalmaggiore (Obergefreiter). Il suo numero di piastrina, lo seguì perfino dove era sotterrato nel cimiterino di Brancere; riesumato, fu poi risotterrato nel cimitero di guerra di Clostermanno (Verona) , tomba 214.

Del povero Soldato non esiste nessun documento in nessun archivio. Non esiste neppure il certificato di sepoltura da parte del Comune di Stagno, né un certificato di morte nell’archivio parrocchiale, nulla nell’Archivio di Stato: Leo Werner “non è mai esistito”! nella vulgata mitologica della “resistenza” si sa che vi fu alla “Morta” “un conflitto armato” e i “nostri” ne uscirono vincitori!

Ed ecco la vergognaosa falsificazione dei fatti: il Comitato Provinciale della Croce Rossa Italiana, in data 12.1.1946, chiede al Municipio di Stagno l’atto di morte di Leo Werner; segue il silenzio imbarazzato del Municipio; l’8 febbraio 1946 insiste ad avere risposta la Delegazione in Italia. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa( Direzione Generale) sollecita pertanto il Municipio di Stagno ”di voler gentilmente comunicarci l’ubicazione della tomba del summenzionato defunto… e se possibile la data e la causa della morte…”

Finalmente la viltà del Municipio di Stagno nella persona del sindaco Boselli risponde in data 20 febbraio 1946: “…il soldato germanico Obgrf LEO WERNER è sepolto nel cimitero della frazione di Brancere di questo Comune. Il militare steso è caduto in combattimento durante le giornate insurrezionali del 25 aprile, in uno scontro con i partigiani.”

Dopo la pubblicazione integrale degli Atti pubblici e le Testimonianze dirette su “La Cronaca”, il Municipio di Stagno è ricorso alla “damnatio memoriae”, al silenzio tombale in difesa del male .

La minestra dell'SS italiano imprigionato alla "Manfredini"

Sull'argomento della misericordia va ricordato un altro episodio. Un giorno vado a casa d'un amico R.C. (classe 1926) durante la mia ricerca sui giochi di una volta, qui a Cremona . Dopo una bella chiacchierata, lui mi dice:<<Lo sapevi che io ero nelle SS italiane?>>. Ed io:<<No, non lo sapevo>>. Allora lui riprende: <<Nell'aprile del '45, mi trovavo a Cuneo. Con quella divisa addosso non potevo di certo tornare a casa tranquillo. Sai cosa avvenne? Avvenne che la madre d'un partigiano ucciso in Piemonte mi diede i vestiti del figlio. Così potei giungere a casa vivo. Qui, fui poi imprigionato alla Caserma Manfredini, dove fui incaricato di distribuire la minestra a quanti, a turno ed in fila, ne avevano bisogno. Il fatto è che in fila c'erano pure partigiani, che mi schiacciavano l'occhio per avere qualche cucchiaiata in più di minestra, cosa che io facevo volentieri>>. Che dire? Viva la Misericordia.

Agostino Melega

Il dibattito si allarga

12 agosto 1944, l’eccidio di Sant’anna di Stazzema, un crimine contro l’umanita’. eppure c’e’ chi ha perdonato: “Sentii allora il dovere di superare una volta per tutte l'odio per costruire assieme agli amici tedeschi un percorso di pace”. QUEST’UOMO E’ ENRICO PIERI, LA SUA “STORIA”.

Caro direttore Antonio,
ho letto con interesse la lettera dell’amico Agostino recentemente pubblicata. A differenza dell’Agostino, io ai miei nipoti (in tutto fanno tre…per ora!) “ce” l’ho già raccontata questa vicenda. A voi dico direttore, avete proprio “ragione da vendere” allorquando commentate: “….questo nostro Paese incendiato dalle divisioni…appunto senza Misericordia”. Sentite su, dunque.

Tutto accadde all’alba di una afosa mattina di un terribile 12 agosto del 1944. Fu un eccidio programmato al dettaglio dalle SS tedesche, per terrorizzare la popolazione e isolare quei partigiani. Donne, vecchi e bambini, sicuri che nulla sarebbe capitato loro in quanto civili inermi, restarono nelle loro case. In poco più di tre ore vennero massacrati 560 civili di cui 130 bambini, e poi donne, e poi anziani.
I nazisti li rastrellarono, li chiusero nelle stalle o nelle cucine delle case, li uccisero con colpi di mitra, bombe a mano, colpi di rivoltella e altre modalità di stampo terroristico.
Il proposito di fare memoria di ciò che fu la Resistenza Italiana, uscendo a fatica da una certa mia personale riservatezza sull'argomento, mi ha indotto a scrivere “di getto” una testimonianza inedita colta nella sua giusta connotazione oltre che nel suo incancellabile assunto.

Di rincalzo tu mi chiedi con quale animo puoi riprendere dopo aver visto ciò che hai visto. La tua storia è breve ma durissima!” (don Primo Mazzolari). La provocazione morale dell’atto del perdono, non è una “provocazione” di per se’, piuttosto è una “morale” per tutti noi. Il perdono ha un significato particolare. Perdonare non significa far finta che non sia successo nulla. È un concetto più profondo. Perdonare non significa neppure giustificare un’azione sbagliata, perdonare significa semplicemente convincersi di voler lasciare alle spalle l’accaduto. E’ “…la via che porta alla pace e alla felicità ma è anche un mistero: se non vi cerchiamo una soluzione ci rimane nascosto”.

Eppure quel bimbino di nome Enrico Pieri, toscano per madre natura, che tutto vide e che, impotente, assistette all’eccidio dei suoi compaesani senza potersi opporre a quella disumana barbarie, serbò per anni nel suo cuore la piena consapevolezza della certezza di tutte quelle nefandezze perpetrate ai danni di una intera popolazione, quella del suo paese natio, ad opera di una inaudita violenza nazifascista.
Come avrebbe potuto opporsi un bimbino di appena dieci anni? Sono trascorsi, inesorabili, più di settanta lunghi anni da quell’episodio di morte, e quel bimbino divenuto ormai adulto, oggi finalmente può vivere in serenità la sua esistenza perché è riuscito a perdonare i carnefici, gli assassini dei suoi cari. Un atto quasi senza precedenti, un gesto che pochissimi saprebbero compiere.
Così oggi lui (nella foto a sinistra) trascorre le sue giornate là, a Sant’Anna di Stazzema, sua terra natia, nella provincia di Lucca. Recentemente ho avuto modo di incontrare quel “bimbino di allora”, proprio sul sagrato di quella graziosa chiesetta, incorniciata tra un agglomerato di case, per lo più sparse, e tra verdeggianti e boscosi pendii delle colline toscane.
Ci siamo parlati a lungo, io, lui e quella “ragazzotta” di sempre, mia fedele ed inseparabile compagna di una intera vita. Ora fa la “guida turistica” l’Enrico. Informa, riferisce, racconta vicende e retroscena di quel periodo oscuro della nostra Storia. E narra, ancora con angoscia ma con altrettanta lucidità, di quei 560 civili orrendamente massacrati.
Tanti i visitatori, italiani e tedeschi che vengono fin quassù, e non fa differenza per lui la provenienza. Visitatori che arrivano per inchinarsi e pregare, portando un nobile segno di pace.
Così m’è venuta voglia, tanta voglia, di incalzarlo con domande, di rivolgergli i tanti “perché”, troppi forse? I tanti “perché” di un assurdo eccidio ai danni di una popolazione inerme, indifesa. Per conoscere, per sapere, per dare a me stesso una spiegazione. Che poi non sono riuscito a trovare, perché non c’è una spiegazione, una giustificazione da poter fornire ai nostri figli, ai nostri nipoti, alle generazioni che seguiranno la nostra, se non l’allerta, se non quell’inevitabile “mai abbassare la guardia” che non guasta in nessuna circostanza, nemmeno per un solo attimo, contro le atrocità, le scelleratezze, le crudeltà, le dittature, contro il sangue, il tanto sangue ancor oggi purtroppo versato in diverse parti del mondo.
Quella nazifascista non fu altro che violenza, spietatezza, disumanità perpetrata con estrema lucidità nei confronti delle tante vittime di civili e di religiosi.
E non si stancava, lui l’Enrico, di narrarmi particolari, anche inediti, di quel terribile periodo della sua giovane vita, di quell’orrenda rappresaglia delle SS sulla popolazione del suo paese. E con orgoglio e con tanta fierezza mi raccontava di come lui e qualche altro suo compaesano fossero poi, nel corso degli anni a seguire, riusciti addirittura : “….allo scopo di promuovere iniziative culturali e internazionali, ispirate al mantenimento della pace e alla collaborazione dei popoli, per costruire il futuro anche sulle dolorose memorie del passato, per una cultura di pace e per cancellare la guerra dalla storia dei popoli, è istituito a S. Anna di Stazzema (Lucca) il «Parco Nazionale della Pace»”. (Nella interpretazione grafica)
Dunque non odio, non vendetta, non ritorsioni, piuttosto perdono, pace e solidarietà tra i popoli. Insuperabile, semplicemente indomabile ed immensamente ammirabile ed inimitabile quell’Enrico Pieri!

Giorgio Carnevali

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di Ven, 10 giu 2016