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La festività del 2 giugno celebra l'Italia Repubblicana. Che sancisce l'anelito della Nazione a un futuro fraterno, sanzionato dalla Costituzione Italiana, quella originale, la più profonda e onesta del mondo. Che ci ha sostenuto nella decisione di aprire una serie a puntate che "Il Vascello" intitola " I gendarmi della Misericordia".
Sono ricordi pro questo Paese incendiato dalle divisioni, senza "Misericordia", appunto. Certo, alcuni articoli potranno essere accantonati da alcuni come "contro". Contro chi? I farisei che continuano a rifarsi la verginità e gli speculatori ideologici.
Nella lunga serie dei delitti impuniti nel Cremonese dopo l’ultima guerra, anche la fine orrenda del medico condotto del comune di Malagnino Gaudioso Bonera, nato il 6 gennaio 1899 a Desenzano, “di razza ariana”( così nei formulari di allora!), figlio di Giulia Ogliani, sposato con Maria Zoli, ritrovato l’11 maggio 1945 al colatore Ponte Morbasco nell’analogo stato del giovane studente Giulio Regeni in Egitto: “Sfigurato, irriconoscibile incrostato di fango e di sangue”- ha scritto il coetaneo e testimone affidabile G. Azzolini 10 anni dopo la tragedia, “sentendo i rintocchi funerei delle manifestazioni esequiali nella ricorrenza della “liberazione”.
A Malagnino - aggiunge Azzolini- l’insurrezione post 25 aprile, era capeggiata da Aristide Chinzani, vigile urbano a Cremona e da un certo Cappelletti del gruppo sportivo regionale “Fantarelli”, il quale aveva scavalcato il fossato ed era passato alla “resistenza” con tale ferocia che fu incarcerato per l’uccisione del milite Settimo Catenacci ma successivamente graziato dall’amnistia.
Azzolini racconta così quei giorni di , ornai a 14 giorni dalla liberazione di Cremona avvenuta il 26 aprile 1945: ”Mitra alla mano, vennero arrestati il podestà Luigi Dizioli, il segretario del Fascio dr Arrigo Salomoni, il maniscalco e quanti altri fecero loro comodo”. Meta: “Caserma del Diavolo” sede di episodi di ferocia diabolica.
Ricercando nell’amministrazione documentata e ben ordinata nell’archivio comunale di Malagnino, emerge la figura del dr. Gioioso Bonera: è quella di una professionista solerte soprattutto verso la povera gente ( Malagnino contava ben 1135 spedalizzazioni di lavoratori agricoli e 488 persone nell’elenco dei poveri).
Componente molto autorevole dell’apposito Ente Comunale Assistenza, assieme al fiduciario dei lavoratori agricoli, al segretario del Fascio Salomoni ed alla maestra Anna Cauzzi, Bonera certificava ad abundantiam la necessità, per i piccoli dai 6 ai 13 anni, di cure marittime e/o montane che ogni anno il Fascio garantiva.
Dai documenti disponibili non risulta che Gioioso Bonera, e alpino, abbia svolto attività politica o sia stato coinvolto in eventi politici. Era un medico esemplare, preoccupato che tutti i bambini venissero vaccinati contro la difterite ed il vaiolo, attento all’igiene pubblica ( deve aver segnalato all’apposito Laboratorio Provinciale qualcosa di poco pulito in una macelleria, alla quale, dopo le analisi, venne tolta la licenza).
"Era animato dalla speranza che l’Italia vincesse la guerra" : scrive Azzolini, mentre - aggiungiamo noi- erano evidenti i segni della sconfitta dell’”Asse” Germania, Italia, Giappone già a fine 1941.
Premuroso con gli sfollati (32 da Frosinone, 14 da Milano, una famiglia da Reggio Calabria), fu dalla parte del podestà Luigi Dizioli, confermato dal prefetto capo della Provincia, quando impose ad un agrario di accogliere una famiglia.
Il Comando Militare Alleato, il Prefetto si resero conto dei crimini e dei disastri commessi subito dopo il 25 aprile; cercarono di porvi rimedio pur mantenendo l’impegno dell’ ”epurazione” di quei fascisti che avessero fatto parte di speciali corpi militari o spionaggio nazifascista. Sono documentate -pertanto- le imposizioni alle giunte comunali e fu informata la stampa in maggio-giugno del dovere di documentare, con testimoni, le accuse degli arrestati alla rinfusa; addirittura la Prefettura raccomandò di avere prudenza nell’arrestare i medici condotti e i farmacisti per non danneggiare la popolazione! Il Comando Militare permise la raccolta di firme a conferma della buona condotta degli arrestati che furono così scarcerati.
La signora Maria Lena (foto a destra) , quando pochi giorni dopo l’arresto esibì le testimonianze alla caserma del Diavolo, le fu risposto che suo marito era andato in “Svizzera”… una squaliida ironia per farle sapere che Gioioso Bonera era stata ammazzato.
Il tragitto verso la morte di Bonera fu spaventoso: caricato su un veicolo venne portato al Ponte del Morbasco vicino a Brancere dove operava un nucleo di partigiani, che già avevano ucciso il soldato tedesco disarmato Leo Werner il 26 aprile (cliccare qui).
Nell’atto di morte ( tra i testimoni l’amatissimo parroco don Antonio Cerioli benefattore del povero “Mento”) del comune di Gerre de’ Caprioli datato 21 luglio alle 18, trasmesso poi a Malagnino, tutti i particolari del ritrovamento. Le ricerche della polizia giudiziaria dovevano esser conservate nell’archivio della Procura della Repubblica; ma qui la documentazione fino al 1976 è stata distrutta, come pure quella del Ventennio fascista.
Persino nella parrocchia di San Michele Sette Pozzi (Malagnino non ha né chiesa parrocchiale, né cimitero) non esiste registrazione di messa esequiale per il povero dr. Gioioso Bonera. ed ogni ricerca di testimonianze dirette si è spenta nel "non ne ho mai sentito parlare, nessuno dei miei ne sa nulla".
Palazzo dell'Arte e piazza Marconi nel disegno progettuale di Carlo Cocchia
Chi sono i “cremonesi”, considerati come comunità dotata di una storia? E’ così importante la domanda che Renato F. Rozzi se l’è posta nel “processare” il periodo 1922-1945 nel Cremonese; nello scoprire-poi- l’uso politico della “resistenza”; nel denunciare la strumentalizzazione del sacrificio di chi si è opposto al nazifascismo; nel prevedere che, a guerra finita, la “resistenza” si sarebbe frantumata in diverse interpretazioni a servizio dei partiti.
Nella quarta puntata abbiamo riprodotto una risposta conclusiva di Rozzi (il fascismo spacca una “comunità sinergica”); ma vorrei aggiungere che nel corso dei secoli la nostra comunità presenta un “male” formulato da San Bernardo nel 1135, quando fu anche a Cremona:”L’anima dei cremonesi si è indurita; la prosperità li ha perduti; disprezzano i Milanesi; la loro fiducia in se stessi li acceca. Solo i carri ed i cavalli li interessano…(salmo19)” cioè gli strumenti per arricchirsi, poi inventano i nemici ( i Milanesi) per scompaginarsi; il massimo loro interesse “carri e cavalli”(dal salmo 19) si ripete nel “perinsigne Capitolo della Cattedrale “ all’epoca del vescovo Sicardo; nelle lotte tra guelfi e ghibellini; nelle guerre tra “casati” di governanti ( ricordo la strage dei Cavalcabò a Maccastorna) su su fino all’agrarismo dell’800, che costrinse migliaia di Cremonesi ad emigrare se volevano sopravvivere e cantare “porca Italia!” prima d’imbarcarsi a Genova per l’America ( Emilio Sereni).
La “lodata-disprezzata” borghesia Cremonese, che ha contribuito alla formazione dell’immaginario collettivo, allo “spirito del tempo”, giustifica l’ “inconscio collettivo” suggerito da C.G. Jung astuto nell’attenuare il contrasto tra “aristocrazia” e “plebe” come ha fatto il fascismo in Italia e a Cremona anche a favore dei salariati.
Quando si spacca la “comunità sinergica” nel Cremonese, si spalanca il baratro del “mors tua, vita mea”, del “con me o contro di me” premesse dei delitti assurdi. Eppure anche in questa situazione furono numerosi i casi di “buon senso” ( perfino in Jaeger della Kommandantur di palazzo Trecchi, in Ortalli in Provincia), di solidarietà famigliare, amicale e di carità come avvenne nel convento dei Cappuccini, nelle parrocchie, che non indulsero mai totalmente il massimalismo fascista.
Renato A. Rozzi pone (inevitabilmente) la questione morale della “colpa”, attingendo da uno sconcertante Primo Levi ( “I sommersi e i salvati”, 1986).
E’ opportuno specificare che, nel nostro caso la “colpa” non è esclusivamente personale, perché avviene entro una dimensione collettiva: tanto il fascismo ( Farinacci) come l’anti-fascismo son figli di mille padri e mille madri; figli del rispettivo quadro culturale, in cui “profetizzarono” i D’Annunzio, i Marinetti, i Nietzsche…/ Gobbetti, i fr. Rosselli, B. Croce, Marx-Lenin-Stalin, il magistero della Chiesa…
Levi: “La condizione di offeso non esclude la colpa e spesso questa è obiettivamente grave…E’ giunto il tempo ( dopo 30 anni! ndr) di esplorare lo spazio che separa le, vittime dai persecutori e di farlo con mano più leggera e spirito torbido”.
Levi-Rozzi denunciano la vastissima “zona grigia” in cui si è stati “sponsor” volenti-nolenti dei due mali estremi.
Rozzi è perentorio:” Rovesciare sul fascismo tutte le colpe rivela solo un sintomatico bisogno di ignorarsi “ (p.51), di sfuggire al “senso di colpa” per il proprio “star schiss” o per aver trasformato impulsi individuali, altrimenti proibiti o rimossi, in socialmente accettabili legittimandoli come avviene in uno stato di guerra.
Proprio in “guerra” avviene quel delirante autoinganno di “deflettere” (Freud) espellere da sé il proprio istinto di morte, ciò che è terrificante, negandolo alla propria coscienza e scaricandolo in un “nemico” da abbattere.
E’ questo un processo illustrato in Franco Fornari “Psicanalisi della guerra”, “Genitalità e cultura” di Paul Ricoeur “Finitudine e colpa”.
Ed ecco la riflessioni ed insieme la descrizione di Renato Rozzi alle spalle di due barbarie, l'eccidio alla Caserma del Diavolo (qui l'ampio servizio de Il Vascello, presentato da tempo, nel quale perse la vita Lucilla Merlini traforata dai propiettili nella bara dove era ancor viva ma morente, foto a metà pagina) e la fucilazione di Mario Merlini (foto di apertura) legato ad una barella anche lui morente ed appoggiato in piedi alla palizzata del Palazzo dell'Arte ancora in costruzione.
Come finisce la storia tra i cremonesi e Farinacci? Finisce simbolicamente con una fucilazione contro i muri incompiuti dell'ultimo dei suoi edifici, il palazzo dell'arte, già di per sé un po' lugubre: Merlini, un «batteur» di Farinacci, vi viene passato per le armi «presente una gran folla» .È accaduto qualcosa che ci richiede una distanza maggiore, uno sguardo antropologico.(....).
Questo scritto è rivolto innanzitutto ai giovani, al loro «stato di cominciamento», per condividere con loro la consapevolezza che «ogni società nasce ai propri occhi nel momento in cui si dà la narrazione della sua violenza» (J. P. Faye): chissà cosa sanno complessivamente del fascismo dentro la prossimità della loro famiglia. E chissà cosa sanno di quest'ultima vicenda: forse pensano che la «barbara usanza» delle esecuzioni pubbliche a Cremona sia cessata da secoli. Cosa provano i figli di fronte al fatto che genitori e nonni posson esser andati a prender parte a quella di Merlini? Anche ai giovani è richiesto di estraniarsi provvisoriamente dall'intensità della propria immanenza,dislocandosi in un tempo più ampio, quasi mitico e insieme sempre attuale.
Che era Merlini? Un quarantenne nervoso, triste, conosciuto e temuto dappertutto: a causa delle sue gesta violente, per un po' Farinacci dovette perfino metterlo in quarantena.`
Alla guida di un piccolo gruppo di sopraffattori si espose quasi esibizionisticamente finendo per concentrare su di sé un odio collettivo. Non si ha la certezza di sue responsabilità in uccisioni. Queste le premesse. Il 26 aprile, mentre tutti i suoi compagni fuggono o si nascondono, Merlini si pone come un drammatico problema al centro della scena: si affida al Vescovo.
Nella notte, forse sentendosi finito o non garantito, lo scabroso ospite tenta di uccidersi aprendosi il ventre con un coltello da cucina.(Successive ricerche accerteranno che fa harakiri nella cucina del parroco di Borgo Loreto ospitato in Curia all'annuncio del Vescovo Cazzani che gli impone di uscire dal palazzo la mattina seguente perché c'è il rischio di un assalto dei facinorosi urlanti davanti al portone di piazza Zaccaria. ndr).
Vien trasportato all'ospedale . Durante il suo breve ricovero, Merlini è insultato e minacciato: di nuovo, cerca la morte strappandosi le bende (voce popolare: si mette il tabacco sulle ferite). L'infezione sta vincendolo, ma già si aggira per la città il camioncino con altoparlante che annuncia la sua esecuzione (a qualcuno pare di ricordare inoltre un piccolo manifesto «d'invito» affisso in città). Questi aspetti son importanti per stabilire non soltanto la responsabilità formale di un gruppo (se c'è stata, com'è presumibile, è quella del locale Comitato di Liberazione Nazionale, cioè di tutti i partiti): son importanti per far rilevare che la cittadinanza vien chiamata alla corresponsabilità della presenza, della «celebrazione».
Lentamente, su una macchina scoperta (la carretta descritta da Cavalcabò), seguito dalla gente che accorre, al morente tocca passare in rassegna i palazzi del trionfo farinacciano. Di fronte ad una moltitudine confusa ed eccitata, la barella a cui è legato vien issata contro la staccionata del Palazzo dell'Arte. Gli vien accesa un'Ambrosiana quasi a dimostrare che è ancora vivo.
Chi è capace d'identificarsi in quest'uomo? ha davanti agli occhi un odio collettivo senza spiragli, vien animalizzato e maledetto, nessuno l'ha difeso neanche formalmente, non c'è sentenza, non c'è ritualità, non c'è neppure un prete che, anche per chi non crede, attesti almeno la sua appartenenza all'umanità, portandogli l'ultimo saluto dei vivi.
Ben diverso è ciò che accade alla Caserma del Diavolo dove poche ore dopo (all'alba del 1° maggio), vengon fucilate dodici persone. L'esecuzione è fatta di nascosto, in gran fretta, c'è una sentenza (senza processo) del Tribunale Militare del Corpo dei Volontari della Libertà, sul giornale vien data laconica notizia solo a cose fatte, non è una condanna «mirata» su una o più persone significative (c'è tanta casualità), per esempio una donna vien salvata all'ultimo momento (non però la sorella di Merlini, nella foto), c'è lo scaricabarile (si dice che da Milano eran state richieste 25 fucilazioni!).
E c'è anche un prete, don Luciano Zanacchi, che chiede invano l'intervento del Vescovo, che non vien disturbato perché sta dicendo messa, sta celebrando quel sacrificio che la ritualizzazione ha reso simbolico. A questo giovane «uomo di servizio», divenuto parroco di Brancere, lasciato solo di fronte al sacrificio reale, dobbiamo la più importante testimonianza, l'unica scritta, su questi avvenimenti .(Si rilegga il servizio de Il Vascello- con tutti i dettagli della testimonianza dell'"uomo di servizio"- ndr).
La scena di piazza Marconi è ben diversa, ha una necessarietà incalzante che sembra scolpita nel tempo immobile del mito: la vittima designata è (come si aspetta chi ha studiato questi problemi) uno qualunque, un marginale, senza protezione; scattano meccanismi antichissimi (il cadavere diventa l'animale espiatorio, omaggiato delle verdure prese ad un fruttivendolo vicino); le donne vi si segnalano per l'esaltazione aggressiva (han avuto meno occasioni di apprendere a controllarsi in situazioni collettive estreme, tutto qui). Se si chiede a qualcuno: perché ci sei stato? le risposte son quelle ovvie, di difesa («ero lì», «ho sentito che l'annunciavano», «ho visto la gente andare», ecc...). A nessuno passa per la testa di esser stato anche un rappresentante o almeno un testimone, un «notaio» della comunità.
Mentre in piazza Marconi (ma dapprima si voleva fucilarlo in piazza del Duomo!) una gran folla dà la morte a un solo uomo (uno qualsiasi, ma pur sempre uno dei propri, sottolineerebbe l'antropologo), trasferendo su di lui tutto il proprio male (le umiliazioni collettive subite, le sofferenze della guerra, ed anche le proprie frustrazioni più personali), l'esecuzione della Caserma del diavolo (molti messi a morte di fronte a pochi presenti) manca di un «utile simbolico», e può far pensare all'inizio di una serie di eccidi con «utile» politico concreto ed immediato (scoraggiare rivincite, mostrare la propria risolutezza, ecc.).
Termina in questo modo il ventennio fascista della comunità cremonese, e in questo modo si fonda anche la sua vita successiva. «Nell'atto sacrificale si afferma l'unità di una comunità, e questa unità sorge nel parossismo della divisione, nel momento in cui la comunità si ritiene votata alla circolarità interminabile delle rappresaglie vendicatrici. Alla molteplicità caotica dei conflitti particolari subentra d'un tratto la semplicità di un antagonismo unico:tutta la comunità da una parte e la vittima dall'altra... non solo incapace di difendersi ma impotente a suscitare la vendetta Il sacrificio è solo una violenza in più, ma è la violenza ultima, l'ultima parola della violenza".
L'uccisione di Merlini è il culmine sacrificale (quello stesso che si ripropone simbolicamente nei riti) che segna la chiusura di un ciclo storico anche se la cessazione della violenza è sempre provvisoria (nonostante le speranze di Girard,) visto che l'accaduto lascia in ogni caso sentimenti di vendetta della parte che ne è vittima.
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Tutta questa premessa per indicare nel povero Merlini, “batteur” di Farinacci ( quanti ce ne sono stati di picchiatori prima e dopo il ’22!) “figlio della sua maggioranza deviante” la figura emblematica del “capro espiatorio”, come avveniva nel paganesimo migliaia di anni fa per “far scontare” all’animale sacrificato le proprie colpe, come se 4000 anni di storia fosse passati in vano. Merlini pagò per tutti i devianti, per tutti i colpevoli di “destra” o “sinistra”
Rozzi riproduce l’orrendo quadro delle sue ultime ore fino alla sua morte, privato del conforto religioso, per dire che bisogna “capire” e non rimuovere le proprie colpe ed essere “misericordiosi”.
Merlini, emblema del “sangue dei vinti” e dei vincitori, vittima del suo tempo, merita un riconoscimento pubblico
Nel conflitto delle interpretazioni della “resistenza” al nazifascismo, il saggio di Renato A. Rozzi si colloca in un’angolazione socio-psicologica, che sta al di sotto della cronaca degli eventi “letti” con l’intento di esaltare la resistenza armata del “Fronte Popolare”, nel quale il Partito Comunista Italiano(PCI) è egemone, da parte di Armando Parlato ( 1984) o “Le Fiamme Verdi” di Marco Allegri (1985), che coagulano-tra l’altro- il pensiero sociale della Chiesa nel P.P.I. destinato a partorire la “Democrazia cristiana.
“Fronte Popolare” e “Fiamme Verdi” sono le due estremità, che Rozzi legge nel suo “ I Cremonesi e Farinacci” (1991) edito dalla Biblioteca Statale di Cremona, capace di svelare le alterazioni della realtà taciuta, nascosta da quello che “è scritto sul muro” con la pretesa dittatoriale di essere “evidente” , una pretesa che purtroppo perdura fino ad oggi.
Ma inevitabili esperienze soggettive o eventi taciuti possono modificare proposizioni dogmatiche, come nel caso di “Villa Merli”, dove -secondo la vulgata frontista- sarebbero stati torturati i partigiani. Ebbene: padre Isidoro, guardiano dei Cappuccini di via Brescia, nel suo diario dettagliato destinato alla vita interna dell’Ordine pubblicato nell’82, non cita mai casi di torture; lui che la frequentava come cappellano ed era in contatto quotidiano col vescovo Cazzani; da “Villa Merli” partivano addirittura le telefonate, che l’avvertivano di mettere al sicuro, prima dell’ispezione imminente, i finti frati sfuggiti rispettivamente ai partigiani ed ai fascisti: questa era la “resistenza dei Cappuccini”! Un processo condotto da Fulvio Righi negli anni '50 confermò che a Villa Merli non era mai stato torturato nessuno.
Tra gli eventi taciuti, citando la monografia di Demers su Farinacci, Rozzi scrive:” Negli anni della conquista del potere, molto differenziato appare l’appoggio crescente dei cremonesi al fascismo… Demers rileva l’abilità del fascio nel procurarsi aiuti economici…da organizazioni diverse: in primo piano gli agrari, i commercianti e la Banca Popolare… Farinacci era “un paladino foraggiato” anche dalla massoneria di Alessandro Groppali. Rozzi ricorda come anche Sacchi e Bissolati “non negarono il loro appoggio a chi poi si dimostrò un avventuriero senza scrupoli”.
Nel “groviglio delle emozioni” nel primo dopoguerra, la famiglia, le amicizie - continua Rozzi psicologo- giocano un ruolo importante nei comportamenti politici: sia sul versante edipico “contro i padri” ( ci furono casi di fratelli su posizioni opposte nella guerra civile del ’43-’45) sia su quello di fedeltà alla famiglia.
In nota ( n.58 - p.55) Rozzicita ancora il Demers sul ruolo della femminilità nell’affermazione del fascio nel 1922: si spesero madrine, crocerossine, cucitrici di gagliardetti, mogli di successivi orbace, mamme di balilla e avanguardisti di “eminenti e compatti casati borghesi” ai quali appartenevano i Vacchelli, Bargoni e Cazzaniga.
Ma, tanto Rozzi come Demers dimenticano che questi “casati” erano gli stessi che sostennero l’interventismo dell’Italia nella prima “inutile strage” 1914-‘18 contro la volontà generale cattolica e socialista ( in merito la tesi di Fiorenzo Zelioli).
Il fascismo- ricorda Rozzi ( p. 59)- è la conseguenza della prima guerra mondiale, nelle contrapposizioni violente e totalizzanti, nell’esaltazione del “capo”, “forte” capace di affrontare sconvolgimenti terribili per i casati borghesi come, nel 1904, lo “sciopero generale” e, nel giugno del 1914, ”la settimana rossa” che indusse il Re a decidere, in modo nascosto, l’intervento dell’Italia.
Cremona “centro deflagratorio” anche del mondo rurale, nella contrapposizione tra “Leghe Bianche di Miglioli” di ispirazione cattolica e i socialisti; nella incapacità “grave” di una “sinistra, rigida e dottrinaria, di apprendere dall’esperienza” (p.56) di leggere la realtà, accecata dall’ideologia. Rozzi sostiene che proprio questa opposizione alla Cremona ”comunità sinergica” secolare si riconosce un grande aiuto della sinistra all’affermarsi del fascismo!
Le conseguenze di questi gravi errori politici, inconfessati e rimossi, contribuiscono a spiegare la ferocia a danno dei “vinti” nella guerra civile. Ce ne occuperemo nel prossimo intervento sul bel saggio di Renato Rozzi. (Continua)
Nelle foto: Farinacci dopo la fucilazione - Mons. Boccazzi benedici i gagliardetti dei fasci femminili.
IGINO GHIDETTI VITTIMA DELLA RESISTENZA MITOLOGICA
"All'impressionante serie dei delitti rimasti impuniti nei giorni dal 26 aprile in poi (il 25 aprile a Cremona uscì ancora il Regime Fascista - ndr), aggiungiamo oggi quello del vigile urbano Igino Ghidetti, dipendente del corpo Vigili Urbani del Comune di Cremona".
Così Carlo Azzolini, che, su "Avanguardia Nazionale" nell'ottobre del 1955, evoca il mosaico di crudeltà a danno dei "vinti" subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale: quella di Azzolini è la controstoria della "resistenza" trasformata in una epopea mitologica per scopi politici, in prevalenza, del partito comunista italiano, assurto a "guardiano della memoria"
E' una storia evenemenziale, questa di Azzolini, percorsa da un brivido di orrore e indignazione, comprensibile se ci si mette nei panni dei "vinti" e di un collega..
Le autorità, in quella situazione caotica, erano l' Headquarters Allied Military Government (l'ufficiale legale provinciale era L.A. Silvester, cap) che aveva emanato le istruzioni per il personale neofascista, e il CLNAI, oltre a Prefettura, Provincia, Comune per la normale amministrazione.
Molto nutrite erano le prime infornate di neofascisti nelle prigioni (le caserme servivano allo scopo) fino a quando il 5 ottobre 1945 il "governo militare si accorse che "le condizioni che portarono all'emanazione di tali istruzioni erano sufficientemente mutate da permettere un rallentamento delle restrizioni imposte"; pertanto... "dovrebbe esser possibile scarcerare parte del personale neofascista".
Igino Ghidetti si è imbattuto nella prima infornata a fine aprile 1945; siccome per lui c'erano"ragionevoli motivi di essere scarcerato (non rientrava nei casi previsti dall'ordinanza militare: brigate nere, legione "Ettore Muti, SS Italiane, polizia speciale, spionaggio dell'OVRA), venne liberato e... assassinato. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Dipendente comunale da 20 anni- scrive il cronista Azzolini- durante la Repubblica Sociale di Salò (RSI) era nella squadra della Vigilanza Annonaria per la disciplina dei prezzi alimentari, delle loro quantità, degli ammassi ai consorzi, della lotta alla "borsa nera"( favorita dalla forbice dei prezzi bassi- quelli ufficiali-, alti quelli del mercato libero dove gli alimenti però abbondavano)
La Vigilanza Annonaria era pertanto una minaccia, sia per chi faceva il mercato nero come per chi doveva sopravvivere con 100 grammi di pane al giorno, 50 gr. di carne !/4 di vino... quando la stessa produzione di frumento era stata tremendamente scarsa.
Padre di tre figli, Ghidetti venne incarcerato (in cella con lui c'era l'avv. Ortali presidente della Provincia) e scarcerato per disposizione di non si quale autorità: scrive Azzolini.
Ghidetti restò in via Jacini per tutto il mese di maggio; "uscito, venne immediatamente fermato col pretesto di accompagnarlo a casa a Porta Milano; offrì da bere agli accompagnatori...Poi fuori dall'osteria di via Volturno giunse nel contempo un macchina... fu invitato a salire per ricambiargli la bevuta in un altro posto e da allora è sparito."
Azzolini:"I suoi compagni di cella ... affermano che in tasca aveva una certa somma...Uno di loro in cattive condizioni economiche e con forte carico di famiglia, ebbe dal Ghidetti 1000 lire in regalo"
Azzolini:"Due sono le possibili versioni della tragedia. Per la liberazione poteva esser intervenuto il sindaco Rossini qualificato a scagionare il Vigile; oppure è stato il figlio del Ghidetti, che invece era partigiano, autista del "questore della liberazione" Ferretti.
"Tenebrosa rimane comunque la ragione della sua liberazione- continua il Cronista-" "Prima della sua liberazione gli "accompagnatori" erano stati nella sua abitazione in via Fiume, ma vi trovarono solo il figlio. Che -però- dopo la sparizione del papà non disse nulla, mentre correva sulla bocca di tutti che Ghidetti era stato portato a Po. Il silenzio del figlio fu il risultato di tremende minacce e e violente imposizioni?"
Il fiume Po diventò la tomba d molti. Di fascisti emiliani che lasciato l'allora Palazzo della Rivoluzione, furono colpiti (in cinque) per quanto inermi e alcuni con la famiglia nell'attuale piazza Cadorna. Altri,anche questi alcuni con famigliari e bambini,che cercavano di scappare a nuoto furono colpiti dalle mitagliatrici della SAP di Porta PO, guidata da Gianfranco Amici (cfr. La Resistenza Cremonese di Massimo Parlato) appostate sulla riva. Vi furono anche esecuzioni sommarie sulle quali non si è mai indagato: quella di Palmiro Boccazzi prelevato da un gruppo armato da casa il 20 maggio '45 e mai più tornato, o quella del tenente Subitoni di Spinadesco, sparito alla fine di aprile. Probabilmente sono finiti in PO anche Luigi Pandini di Soresina e Carmelo De Lorenzo, ucciso il 28 aprile del 1945.
Chi è il Cronista di questa ed altre vicende? Carlo Azzolini (1903-1981) fu fascista in buona fede come la stragrande maggioranza degl'italiani; consigliere comunale e provinciale, impiegato comunale all'ufficio "provvidenza"( assistenza) nel Palazzo della Rivoluzione.
Persona mite, diligente amministratore; come impiegato pubblico venne epurato e incarcerato nella Caserma Paolini in via Palestro; perse il posto di lavoro, ma fu aiutato da suo fratello che aveva un negozio di mercerie. Successivamente, per la sua bravura come "ragioniere" ( senza titolo!) fu spedizionere della Borghi autotrasporti, poi, come tale, nella prestigiosa ditta Sorini di Castelleone famosa per le sue marmellate e mostarde. Dopo la guerra fu sostenitore de "L'uomo qualunque" poi del Movimento Sociale Italiano.
Collaborò a mantenere viva la buona fede di tanti fascisti..
La foto nel testo è di repertorio.
di Giorgio Carnevali
Una commovente quanto significativa lapide, consunta dal tempo, austera ed inesorabile, visibile sulla parete del tempietto bramantesco adiacente la chiesa di San Luca in Cremona, bene ricorda a tutti gli uomini di buona volontà, soprattutto ai nostri giovani:
Tutti e tre giovanissimi, poco più che adolescenti, nel corso di una operazione partigiana di disarmo del nemico alla stazione ferroviaria di Cremona, si appostavano nei pressi del tempietto sulla piazza di San Luca, in fregio a corso Garibaldi. Si avviava un conflitto a fuoco tra partigiani ed una colonna di blindati tedeschi in ritirata. In quel frangente un blindato tedesco sopraggiungeva dal Corso ed apriva il fuoco. I tre giovani partigiani venivano falciati e feriti a morte dalla potente mitraglia a sei canne dell’autoblinda. Fu un gesto nobile, fu un sacrificio di sangue che quei giovanissimi ragazzi compirono per tentare di opporsi alla violenza.
Il bel libro del prof. Marco Allegri “Le Fiamme Verdi e la Resistenza dei Cattolici Cremonesi” riporta una struggente lettera scritta dal padre di uno di questi giovani uccisi,. Così il padre di quel giovane valoroso Bernardino Zelioli, morto per il suo ideale, ricordava, il 22 maggio 1945, giorno onomastico della madre, dopo circa un mese dalla morte di quel suo tanto amato figliolo:
“Ancor oggi non conosco la tua attività clandestina del periodo che ha preceduto la sommossa dei patrioti cremonesi; la mamma ed io non sappiamo capacitarci del lavoro che con tanta discrezione andavi svolgendo tra i compagni di fede e di azione. Solo poche sere fa ho sentito alla radio dalla viva voce del tuo compagno, A. Compiani: “Ti rivedo sorridente e calmo mentre ti consegnavo foglietti volanti di propaganda, freschi di stampa che da Cremona venivi a ritirare e che provvedevi a distribuire. Era cospirazione la nostra? No, Bernardino, era il preludio della gloriosa rinascita italiana, quella rinascita che noi abbiamo per tanti lunghi mesi vagheggiato e per la quale tu hai data la tua esuberante giovinezza”. Per noi tuoi genitori, che eravamo all’oscuro di tutto, è stata una rivelazione, ma che gli agenti dell’U.P.I. (Ufficio Polizia Investigativa) ti sorvegliassero era una certezza.
Nel dì dell’Assunzione dell’anno scorso avevi destato sospetto perché in Piazza del Duomo ti eri avvicinato a un detenuto messo fuori a fare da ….”Richiamo”. Ti ho incontrato proprio quando ti portavano a villa Merli, ad un tuo cenno ti ho seguito e il…(omissis) nostro di là dentro ti ha fatto rilasciare subito. Eri turbato, ma eri pieno di Fede, mi dicevi: “Ho fatto la Comunione stamane e ho chiesto alla Madonna fammi incontrare il mio papà e la Madonna mi ha subito esaudito”. Alla mamma che attenta sorvegliava ogni tuo contegno, rispondevi con un sorriso aperto, ma con una frase di mistero: “Mamma non te lo posso dire. Lo saprai poi….”. Si, l’abbiamo appreso infine, e sul letto della tua agonia! Ti spiavo anch’io, e mal celavo letizia al susseguirsi degli eventi militari, preludio del riscatto e della liberazione, perché, bambinone mio, mi leggevi negli occhi, e più in là nel cuore, e gioivi con me. Persino all’alba radiosa di sangue e di vittoria, in quel pomeriggio fatale del 26 aprile, senza che ti avessi riveduto, senza attendere al richiamo insistente della mamma era presagio il suo cuore sei scappato via senza dir nulla, per il posto di combattimento e di gloria.
Suonava a riscossa la campana del Torrazzo e tu correvi alla Stazione, sul piazzale ove la raffica di mitraglia nemica ti ha colpito mortalmente. Erano le 15,30! Perché il Signore ha voluto da noi il privilegio di una prova così straziante? Avevi 18 anni, eri, Bernardino, la vita della casa, la gioia dei fratelli, l’orgoglio di papà e mamma e zia, ci hai abbandonato perché il Signore ti aveva riservato il premio degli Eletti nella vita che non muore……! Quando ti vidi dolorante nelle carni martoriate, sul lettuccio dell’Ospedale Militare, avevi già ricevuto l’ultimo amplesso terreno di Gesù Signore. Sul tuo bel viso splendeva il sorriso dei momenti più belli della tua infanzia innocente, negli occhi brillava la tua giovinezza pura e gagliarda. Era una Luce di Cielo: “Muoio papà. Vado in Paradiso, pregherò per tutti”, mi dicevi. “Ho fatto il mio dovere se sapessi ho combattuto alla Stazione, ho disarmato molti tedeschi…non ho neppure sparato! Ora sono contento”. Poi soggiungevi: “Offro i miei dolori, la mia vita per l’Italia che amo tanto, per la gioventù nostra, perché diventi più buona”.
Che pena! E alla tua mamma: “Non piangere, mamma, è meglio per te avere un figliolo in Paradiso, che saperlo perduto”. E a Don Luigi all’amato Assistente della tua Associazione, a chiedere l’ultima benedizione, quasi ad invocare “sorella morte” liberatrice di sì atroci sofferenze. “Ancora un bacio, papà, mamma, Don Luigi, anche lei signor Barbieri (padre del giovane sedicenne Attilio Barbieri anch’egli trucidato dai tedeschi) mi dia un bacio Addio Desidero morire!”. E poi recitato il Gesù d’amore acceso…:”Non sono ancora morto?”.
ERANO LE 14,00 DEL 26 APRILE DELL’ANNO 1945.
L’adesione che quei giovani della nostra terra cremonese fecero alla Resistenza fu una scelta prima etica che politica. L’etica della fierezza e dell’onore, l’etica dei principi assimilati in famiglia, negli oratori, l’etica del dovere verso Dio, verso se stessi, verso la Patria. Un’etica imperiosa che non ammise cedimenti o compromessi ma che richiese solo granitica coerenza., come si conviene al temperamento generoso e ricco di idealità di un giovane, e come si conviene quando ci sono in gioco gli interessi supremi del proprio paese. Da questo loro “dono” si irradino Vita, Amore, Solidarietà e Pace; se ne alimentino l’Umanità ed in particolare i Giovani, sentendosi essi stessi severi custodi di tanto Sacrificio e di Immortali Valori.