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Polo di Tencara: intermodalità, occupazione o inutile consumo di territorio?

La via compatibile: censimento e riutilizzo delle aree industriali dismesse

IL FATTO - Avvio del Tavolo di coordinamento, impegno per favorire la creazione di un Polo Industriale Strategico nell'area Tencara a Pizzighettone (Cr), attivazione di tutti i canali di finanziamento per favorire lo sviluppo socio-economico del territorio e l'attrazione degli investimenti, individuazione e definizione di azioni concrete per realizzare un pacchetto di condizioni incentivanti per incrementare l'attrattività dell'area.
IL PROTOCOLLO - Sono questi gli impegni assunti dai sottoscrittori del Protocollo per le politiche di sviluppo del territorio cremonese, con particolare riferimento all'area Tencara, nell'incontro ospitato presso la Sede Territoriale della Regione Lombardia di Cremona e promosso dall'assessore regionale all'Occupazione e Politiche del Lavoro Gianni Rossoni e dal presidente della Provincia di Cremona, Massimiliano Salini. L'intesa è stata firmata anche dal Sindaco di Cremona, Oreste Perri, dal primo cittadino di Pizzighettone, Maria Carla Bianchi, dall'Associazione Industriali, delle Piccole Imprese, dell'Artigianato e dell'Agricoltura, dal presidente della Camera di Commercio Giandomenico Auricchio e dalle organizzazioni sindacali. Tutti i soggetti che un anno fa, a seguito della decisione di Tamoil di chiudere la raffineria, si erano impegnati davanti all'allora Ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, hanno dato seguito a quanto quell'accordo disponeva. Ad eccezione di Tamoil.

Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori Comitato Cremonese, Cremasco, Casalasco dichiarano, però: " Un milione di metri quadrati di terreno agricolo in Comune di Pizzighettone sono destinati a diventare un Polo Industriale Strategico di rilevanza europea. Una scelta motivata, secondo quanto si legge nel protocollo d’intesa firmato a fine maggio, dalla necessità di rilanciare l’economia e l’occupazione locale, nell’ottica dell’intermodalità. L’area interessata è infatti situata vicino al Canale Navigabile e alla linea ferroviaria Cremona-Codogno.
Percorrendo le sponde del canale però si può immediatamente constatare lo stato di abbandono dell’infrastruttura, il cui recupero non può prescindere da una regolarizzazione della navigabilità del fiume Po, ipotesi tuttora piena di incognite dal punto di vista economico e ambientale. Per quanto riguarda invece la linea ferroviaria, ad oggi ancora a binario unico, si evidenzia la necessità di un adeguamento, come possono confermare i tanti pendolari che quotidianamente ne lamentano i disagi. L’intermodalità rischia perciò di rimanere un’idea bella ma irrealizzabile; l’unica certezza, allo stato attuale, è il trasporto su gomma, che andrebbe a gravare ulteriormente sulle infrastrutture esistenti, oltre che sulla qualità dell’aria che respiriamo.

Di fronte alla possibilità di una trasformazione d’uso di terreni agricoli di tale entità, riteniamo importante la partecipazione al Tavolo di Coordinamento delle associazioni ambientaliste e di tutela del territorio. Allo stesso modo riteniamo opportuna una presentazione pubblica del piano strategico di investimento del Polo Industriale che ne evidenzi il ritorno di investimento e di occupazione previsti. L’ipotesi di realizzare una così vasta urbanizzazione, scommettendo sull’insediamento di aziende che rilanceranno la stagnante economia cremonese ed incrementeranno il livello occupazionale, appare troppo ottimistica, tenendo conto dell’attuale congiuntura economica.
L’impressione infatti è che non sono le aree produttive a mancare sul nostro territorio, come testimoniano le numerose aree dismesse e i capannoni vuoti, in vendita, in affitto o abbandonati (ai quali bisogna aggiungere le previsioni di espansione produttiva già presenti negli strumenti urbanistici dei vari comuni).
Questa situazione è senza dubbio l’eredità di una mancanza di coordinamento a livello sovracomunale, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti se vogliamo evitare un ulteriore spreco di territorio.

LA PROPOSTA:CENSIMENTO DEI CAPANNONI INDUSTRIALI DISMESSI - Il comitato locale della campagna “Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori” rilancia perciò la necessità e l’urgenza di realizzare, anche a livello locale, un censimento di tutti gli edifici inutilizzati e le aree dismesse, che riguardi gli immobili a destinazione produttiva e residenziale, così come proposto dal “Forum Italiano dei Movimenti per la Terra e il Paesaggio”, che a tale scopo ha inviato una scheda di rilevamento a tutti i comuni italiani. La conoscenza dell’attuale patrimonio immobiliare è un presupposto imprescindibile per una coordinata pianificazione del territorio.

Salviamo il Paesaggio, Difendiamo i Territori Comitato Cremonese, Cremasco, Casalasco- Pubblicato il 14-6- 2012


Rapporto Ecomafia: per illeciti nei rifiuti Cremona è terza in Lombardia, dopo Brescia e Pavia, in quello del cemento è nona
" Che a Milano la mafia si limiti a riciclare denaro e non eserciti controllo sul territorio è una sacra bugia ripetuta da anni ”


di ANTONIO LEONI

“Nonostante la crisi economica, il fatturato delle ecomafie ha raggiunto livelli record, superando i 20,5 miliardi di euro. Sono cresciuti anche i reati contro l’ambiente: 28.586, quasi 80 al giorno, più di 3 ogni ora”, mentre “è definitivamente mutata la geografia della criminalità ambientale che, oltre a essersi insediata stabilmente nelle regioni del Nord, il cuore produttivo dell’Italia, ha assunto un carattere globale e ha esteso i suoi tentacoli all’Africa e al Sud Est asiatico”.
Sono alcuni dati del rapporto “Ecomafia 2010” curato da Libera - Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, e Legambiente, presentato a Milano .
Rifiuti, cemento, racket degli animali, truffe alimentari, beni culturali, agromafia: oltre a questi tradizionali ambiti di attività criminale, “Ecomafia 2010” racconta la truffa del calcestruzzo depotenziato, con cui sono stati costruiti ospedali, scuole, viadotti, gallerie e case con enormi rischi per l’incolumità delle persone, e si concentra anche sulle attività illegali nei settori dell’eolico, dei mercati ortofrutticoli e dei centri commerciali.
Che le mafie siano storicamente presenti in Lombardia è provato dal numero di beni confiscati, 665 gli immobili e 165 le aziende, che la collocano al quinto posto tra le regioni italiane per numero di confische, preceduta solo da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. La Lombardia si conferma, inoltre, territorio ampiamente interessato dal fenomeno delle ecomafie.

Un terzo delle grandi inchieste italiane sui traffici illeciti di rifiuti passa dalla Lombardia, che vede tra l'altro aumentare le infrazioni accertate nella gestione dei rifiuti (153 nel 2009 contro le 144 del 2008) e il numero di persone denunciate (241 nel 2009 contro le 164 del 2008).

Peggiore la situazione nel “ciclo del cemento” che vede la Lombardia al decimo posto con 261 infrazioni accertate (il 3,5% del totale), 400 persone denunciate e 26 sequestri effettuati: su scala regionale circa il 30% dei reati accertati nel 2008 in materiale ambientale (261 su 886) e quasi la metà delle persone denunciate (400 su 866) hanno a che fare con le grandi opere (la Tav su tutte), gli appalti pubblici, il movimento terra. Lo chiarisce il dossier “Ombre nella nebbia”. Un'antologia con, tra altre firme, le più recenti inchieste di Gianni Barbacetto, Lorenzo Frigerio, Davide Milosa, Mario Portanova e Peppe Ruggiero.

C'è poi il narcotraffico, con Milano che è la città in cui si consuma più cocaina (in proporzione al numero di abitanti) rispetto al resto d'Europa. Centosettanta i Kg di cocaina sequestrati nel 2008, più di 90 quelli di eroina nello stesso anno.

“Che a Milano la mafia si limiti a riciclare denaro e non eserciti controllo sul territorio è una sacra bugia ripetuta da anni”, spiega Milosa, elencando le intimidazioni, gli omicidi (almeno cinque quelli di chiara matrice mafiosa secondo l'ultima relazione della Dna) e il clima di omertà emersi dalle più recenti inchieste della Dda di Milano.

Non a caso l'ultima relazione della Dna ha segnalato per il 2009 l'aumento di iscrizioni per il delitto di 416 bis (associazione mafiosa) in Lombardia: da 10 a 31.
Segnali preoccupanti emergono anche sul fronte dell'infiltrazione nell'economia e nelle pubbliche amministrazioni.

“Quanti politici ha la 'ndrangheta in Lombardia?” è la domanda che pone Mario Portanova.

“I segnali sono forti, soprattutto nei piccoli comuni dell'hinterland milanese, della Brianza, del Varesotto.

E' un pentolone che ribolle, con il coperchio pronto a saltare”.

Siamo alla conta dei nomi. E Milosa fornisce un'anticipazione: “gli ultimi report delle forze dell'ordine prevedono sviluppi cruenti in vista dell'Expo 2015 e nei prossimi mesi alcune indagini, dall'hinterland milanese, potrebbero raggiungere il Comune, la Provincia e la Regione”.
Un allarme diffuso che non può lasciare indifferente Cremona.

Qui, come ha da tempo sottolineato “Il vascello”, si continuano a prospettare aperture di cantieri per il boccone più prelibato: l’edilizia senza riserve come quella proposta per il recupero delle aree annonarie. Invece che fare proposta di gestione del territorio comunale si invitano i privati ai progetti senza aver prospettato pali, paletti, limiti e obblighi di un piano urbanistico generale e specifico.

Non dovrebbero dimenticare i nostri amministratori che prospettano queste soluzioni con ingenuità da dilettanti allo sbaraglio che le mafie e le tante forme d’illegalità, corruzione e abuso non sono un problema circoscritto, ma un furto di bene comune che ci colpisce tutti e al quale tutti possiamo e dobbiamo ribellarci.

Eccezionale fiuto della Guardia di Finanza di Cremona comandata da Giampiero Ianni

Operazione black steel, “acciaio nero”: scoperti 210 milioni di euro sottratti al fisco, ben 108 persone denunciate all’autorita’ giudiziaria

Si chiama operazione black steel. Tradotto: “acciaio nero”. Una operazione gigantesca. E’ opera della Guardia di Finanza di Cremona nel settore della Tutela delle Entrate: un’articolata quanto complessa attività di indagine ed ispettiva ha portato alla constatazione di un’ingente frode fiscale realizzata attraverso l’emissione e l’utilizzo sistematici di fatture false. Il risultato in estrema sintesi? Scoperti 210 milioni di euro sottratti al fisco, ben  108 persone denunciate all’autorita’ giudiziaria. Tutto si è svolto sull’asse Lecco – Cremona che poi si è allargata a Milano e altrove, i proventi delle transazioni illecite venivano bonificati  in particolar modo in Svizzera a a San Martino.

Il tutto all’interno di un magma al quale “Il Vascello” ha già dedicato molta attenzione. Si vada a leggere allora qui sotto ogni particolare dell’ultima, meritoria operazione compiuta dalla Guardia di Finanza di Cremona e alcuni precedenti segnalati dal servizio da mesi presente sul nostro giornale, che evidentemente ha fiutato giusto (ci si permetta questa immodesta e sicuramente inopportuna constatazione: ma ci siampo mossi in un terreno minato e spesso percorso dal ricatto malavitoso, dunque cosparso di rischi non fantasiosi). E diamo una volta tanto un grande merito alla Guadia di Finanza di Cremona comandata da Giampiero Ianni: ecco i veri servitori dello Stato. Concreti, preparati, pronti davvero ad ogni sacrificio e rischio.

(Le foto sono di repertorio e non assolutamente connesse a luoghi o persone al centro dei servizi sull'intervento della guardia di Finanza)

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Il servizio ha avuto origine dallo sviluppo investigativo di talune segnalazioni per operazioni finanziarie sospette pervenute, nei confronti di una società cremonese, con riferimento a frequenti e consistenti prelievi di denaro contante operati sul relativo conto corrente aziendale.

Le successive indagini finanziarie consentivano di scoprire che le relative provviste erano state costituite mediante bonifici effettuati da una società milanese, operante nel settore del commercio all’ingrosso di materiali ferrosi, che i finanzieri scoprivano  essere  coinvolta in un vasto giro di fatture per operazioni inesistenti.

I proventi di tali transazioni illecite venivano, da quest’ultima, immediatamente bonificati verso Paesi a fiscalità privilegiata (Svizzera e San Marino), su conti correnti intestati a società, anch’esse risultate fittizie.

Lo sviluppo degli elementi raccolti in questo ambito portava gli inquirenti a focalizzare, così, la propria attenzione su una nuova società, questa volta con sede nella provincia di Lecco, che aveva emesso, a favore della società cremonese,  fatture per forniture di metalli ferrosi che si rivelavano essere relative ad operazioni  inesistenti.

Dai sopraluoghi e dagli ulteriori accertamenti posti in essere, emergeva che, agli indirizzi corrispondenti alle sedi della società in trattazione, non veniva, infatti, svolta alcuna attività commerciale.

Le risultanze acquisite, corroborate da ulteriori attività di intelligence e di analisi, consentivano di interessare la magistratura competente in ordine alla sussistenza di reati tributari particolarmente insidiosi.

In tale ambito, si procedeva, quindi, all’esecuzione di più penetranti accertamenti anche con l’esecuzione di intercettazioni telefoniche, nei confronti di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti.

In particolare, venivano effettuate  perquisizioni presso le sedi di 9 società lombarde, 2 imprese laziali e presso i domicili di 16 persone fisiche tra amministratori di fatto, prestanome, agenti e autotrasportatori.

I finanzieri giungevano, quindi, a delineare due filoni operativi, apparentemente  autonomi ma, in realtà, tra loro strettamente connessi per tipologia illecita e per i settori merceologici interessati e personaggi coinvolti che si strutturavano in un vero e proprio sodalizio criminale finalizzato alla frode fiscale ed al trasferimento all’estero dei relativi proventi illeciti.

I promotori di tale organizzazione venivano individuati in due imprenditori milanesi: E.B. ed A.T., rispettivamente di 61 e 62 anni, che si avvalevano di altri sei soggetti, rivestenti il ruolo di prestanome.

L’’analisi della documentazione sequestrata ed i riscontri investigativi sulle sue evidenze facevano emergere il coinvolgimento di ben  90 società, con sedi in Lombardia, Veneto, Piemonte, Trentino Alto Adige, Lazio e Campania, tutte utilizzatrici delle fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società dei due imprenditori lombardi.

Il meccanismo fraudolento ideato consentiva, alle suddette imprese, di crearsi costi fittizi, generando I.V.A. a credito da compensare con le vendite e, con il contante restituito alle emittenti le fatture false mediante Ricevute Bancarie, di costituire fondi extra-contabili.

A riprova della notevole consistenza probatoria delle indagini svolte, numerose società implicate nel contesto fraudolento si sono già avvalse, al termine delle attività di verifica eseguite, della facoltà prevista dall’art. 5-bis del D. Lgs. 281/97, della possibilità di aderire al contenuto integrale dei processi verbali di constatazione e delle sanzioni in essi richiamate. In questo modo, ben 15 milioni di euro sono già stati versati nelle casse dell’Erario.

L’operazione, articolatasi anche attraverso l’esecuzione di ben 15 interventi ispettivi e l’interessamento, per i competenti adempimenti,  di 77 reparti del Corpo, si è conclusa con la constatazione di un’evasione fiscale di oltre 210 milioni di euro, la scoperta di fatture false per circa 177 milioni di euro, la segnalazione di 108 persone fisiche, legali rappresentanti e/o amministratori di fatto delle 98 società coinvolte, all’Autorità Giudiziaria competente.

In particolare, sono stati contestati i seguenti reati: art. 416 (associazione a delinquere, 8 soggetti) ed art. 468 (contraffazione di sigilli, 1 soggetto) codice penale; art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di f.o.i., 98 soggetti), art. 4 (dichiarazione infedele, 98 soggetti), art. 8 (emissione di f.o.i., 11 soggetti) ed art. 10 (distruzione di documentazione contabile, 2 soggetti) D. Lgs. 74/2000.

La Magistratura inquirente, nella persona del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale Ordinario di Milano, Dott.ssa Maria Letizia Mannella, ha emesso 16 informazioni di garanzia ed avvisi di conclusione indagini nei confronti dei soggetti milanesi implicati ivi  compresi i menzionati due imprenditori lombardi, promotori ed organizzatori del sistema  fraudolento smantellato dal Nucleo di Polizia Tributaria di Cremona.

Altri 100 milioni e oltre di frode fiscale nel triangolo BS - Cremona - PR

Maxi frode fiscale per un giro idi oltre 100 milioni di euro. La Guardia di Finanza di Brescia ha smantellato un traffico di denaro sporco che circolava nelle tasche di un gruppo di imprenditori attivi nella compravendita di metalli.
Il business illecito era orchestrato da un 53enne, V.F. le sue iniziali, che attraverso una Ssocietà aveva creato un giro di false fatturazioni che gli consentiva di abbattere significativamente i ricavi provenienti dalla vendita regolare di profilati, lingotti, verghe e pani di ottone e rame. L'organizzazione ha prodotto false fatture per 67,7 milioni di euro, l'Iva evasa sarebbe intorno ai 13,5 milioni di euro, mentre l'Irap non pagata ammonterebbe a 37,7 milioni.
Le indagini hanno portato a contestare alle società di facciata diverse violazioni. A un’impresa di Ghedi, con a capo U.M, di anni 59 di origine pugliese, è stata contestata l’emissione di fatture false per 34,6 milioni di euro e l’occultamento di scritture e documenti contabili, a una società di Cremona, gestita da M.M. di 58 anni, residente nel Cremonese, è stata addebitata l’emissione di fatture false per circa 500 mila euro e l’occultamento/distruzione di scritture e documenti contabile mentre a una società di Parma, con più responsabili legali tra i quali l’A.C. di anni 58, residente a Grumello Cremonese, è stata contestata l’emissione di fatture false per 33,2 milioni di euro e l’occultamento/distruzione di scritture e documenti contabile.

Un nuovo indirizzo clamoroso in un settore magmatico dove spesso incombe la malavita

Rientrano i rifiuti dall'Africa ed i ferraioli bresciani tentano di sfuggire al fisco intrallazzando con San Marino: l'ha scoperto la GdF bresciana

di Alessandro Iacuelli


Potrebbe sembrare un controsenso, quanto appare da alcune indagini condotte dalla magistratura e dalle autorità doganali del nostro Paese. Eravamo abituati a vedere i rifiuti industriali italiani, in particolare quelli tossici, prendere la via dell'Africa, a fare compagnia a quelli di quasi tutto il resto d'Europa, invece il nuovo quadro che emerge indica una inaspettata inversione di tendenza: dall'Italia all'Africa, e poi di ritorno nel nostro Paese.I rifiuti tossici tornano in Italia.
Si tratta per lo più di scarti industriali e rottami ferrosi contaminati con sostanze nocive, o a volte radioattive. Sostanze che per legge non sono più riutilizzabili nei cicli di produzione industriale, ma sono destinate ad essere smaltite come rifiuti speciali. Invece succede che vengano riutilizzate, e non si tratta certo di riciclaggio o riutilizzo di materie prime seconde, ma di avvelenamento pericoloso di nuovi prodotti che finiscono sul mercato. Il percorso dei rifiuti si fa più accidentato: viene imbarcato via mare in porti già noti per questo tipo di attività, in particolare quelli di Liguria, Toscana e Campania, in misura minore anche in Calabria e Sicilia. Spesso, sfuggono ai controlli doganali, con tecniche già note: sulle bolle di accompagnamento c'è scritto che si tratta di generi alimentari, veicoli, materiali edili e, nel caso di rifiuti elettronici, addirittura come materiale informatico per lo sviluppo e la cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo.


Nel 2008, la Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Dogane hanno individuato 4.000 tonnellate (una quantità modesta, rispetto al totale) di rifiuti pericolosi provenienti dall’Africa, dall'America e dal Nord Europa, oltre che centinaia di tonnellate di rifiuti speciali provenienti dall'Albania e dalla Croazia. Di che materiali si tratta, e perché arrivano da noi?
Si tratta di catalizzatori esausti, contaminati con sostanze tossiche, prodotti chimici e soprattutto pet coke, un sottoprodotto del petrolio che si ottiene dal processo di condensazione di residui petroliferi pesanti e oleosi. Il pet coke viene usato come combustibile economico, ma ha un problema: è altamente cancerogeno in quanto contiene zolfo al di la dei livelli previsti dalla legge.

Ma costa pochissimo, trattandosi di un rifiuto, pertanto se lo si riesce a far entrare in Italia per vie traverse, il guadagno è assicurato.
A Salerno, la Guardia di Finanza ha sequestrato nel porto un bel numero di containers provenienti dall'Irlanda e da alcuni paesi dell'Africa centrale, contenenti sostanze tossiche e materiali elettronici di scarto: questo materiale era destinato ad una società romana, assolutamente fittizia, che era stata incorporata da anni da un'altra società con sede a Milano. Si trattava degli stessi rifiuti che avevano lasciato illegalmente l'Italia ed avevano preso la via del del Benin.

E si risparmia non solo sul combustibile, ma anche in un altro modo: importando illegalmente le sostanze tossiche, eludendo le dogane, si froda anche il fisco. Nelle scorse settimane, un'indagine condotta dalla Procura della Repubblica di Bergamo ha portato alla luce un traffico illecito di rifiuti realizzato attraverso società filtro, create appositamente e successivamente trasferite in altre regioni e avviate alla liquidazione, per gestire un'enorme quantità di rifiuti di origine ignota e di qualità chimico-fisiche sconosciute.
Il 16 ottobre scorso, è toccato alla Guardia di Finanza di Brescia scoprire una triangolazione societaria, fatta con la Repubblica di San Marino. Ad essere movimentati erano i materiali ferrosi che compongono gli scarti delle acciaierie, di cui è pieno una parte del territorio bresciano.
In pratica, il 2010 inizia con un quadro preoccupante. E ancora si attende una presa di posizione seria da parte delle potenti organizzazioni degli industriali italiani. L’Agenzia delle Dogane ipotizza per il nuovo anno un boom delle importazioni illegali di pet coke. Il bilancio, sempre del 2008, poiché i dati del 2009 non sono ancora stati resi noti, parlano chiaro: l’Agenzia delle Dogane ha sequestrato in tutto l'anno 106.000 tonnellate di pet coke. La cosa che fa venire i brividi è che molto di questo veleno era destinato a fare da combustibile nei forni d’industrie alimentari, italiane, soprattutto produttori di zucchero e di prodotti dolciari. E i rifiuti , giunti per le nuove rotte, arrivano nei nostri piatti.

Fonte: Altrenotizie





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di Gio, 30 gen 2014