Un'altra eccezionale puntata con nuovi documenti della inchiesta
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L'altra guerra: ancora testimonianze di misericordiaCividale: un paese in pace dopo la occupazione tedesca dell'8 settembre 1'43(g.b.) Cividale fu un’isola di pace durante l’occupazione tedesca dell’Italia dopo l’8 settembre 1943. Non solo, alcuni degli occupanti sono persino ritornati nel paese dopo l’annientamento del Nazismo e la conseguente sparizione della Germania dalla cartina politica dell’Europa l’8 maggio 1945, occupata dagli Alleati. Poi, a partire dal giugno 1948 con la nascita della moneta unica tedesca ( 4 marchi per un dollaro), la nascita della Bundesrepublik (Repubblica Federale di Germania, cioè la Germania Ovest) i tedeschi occidentali hanno iniziato, partendo da sottozero, una rinascita in tutti i campi, al punto da rendere possibile il ritorno a Cividale da parte di alcuni che l’avevano occupato militarmente, ospiti di Guglielmino Mantovani, che già in precedenza aveva ospitato, durante la guerra civile 1943-’45, numerosi sfollati. Enzo, figlio di cotanto padre, ci ricorda i segni degl’insediamenti nella loro casa signorile e distinta per generosità e civismo, testimone anche “la Bigia” che abitava lì vicino: in ogni camera era ospitata una famiglia. Anche Mario Barbiani, residente al “Palazzo”, ricorda l’evento e la conferma, nei ricordi di famiglia e dea piccola comunità del Palazzo, del comportamento civico di questa quarantina di tedeschi che nascosero i camion nel parco del Palazzo, attrezzati alla rigenerazione di copertoni per auto e camion. Mario Barbiani lo incontriamo alla “Domus Pasotelli” di Bozzolo, lucido e carico di ricordi: “ Noi ragazzi avevamo sottratta una pistola dal davanzale della finestra dell’ala del Palazzo in cui risiedevano i tedeschi e giocavamo alla guerra! Poi i nostri famigliari l’hanno riportata. I tedeschi erano persone anziane, gente calma, educati; ci davano sapone e sale come a tante altre famiglie di Cividale, prodotti allora introvabili.” ALBERTO GORLA RICORDA I tedeschi erano arrivati in paese da Rivarolo Mantovano. Alberto Gorla ricorda addirittura l’ora in cui si fermò un loro carro vicino alla cappella di Santa Lucia. “Erano le 16.30. Vicino alla cappella sedeva il vecchio Rino Ongari, detto “Carota”, fumava la pipa. Capendo che erano tedeschi,nascose una medaglia al merito militare della Prima Guerra Mondiale che teneva appesa alla catenella dell’orologio. Chiesero da bere per loro e per i cavalli. Lui portò loro un secchio di acqua fresca ed un mestolo. Tutti bevvero e raccolsero pomodori nell’orticello lì vicino.” L’artista del ferro e degli orologi ci accoglie nella sua casa ospitale; accanto a lui la dolce sposa Rosa Manara, “vestale” di Cividale, alla stregua delle donne germaniche e romane, cultrice dei “lari”, dei trapassati ( in antico tedesco chiamati “Minnen”, da cui deriva il “Minnensang”, il canto d’amore che, originariamente, era un “fare memoria” di chi ci ha preceduto.) ANCHE UN BAMBINO RICORDA Avevo allora otto anni quando arrivarono quei soldati sui loro camion nel pomeriggio di un dolce settembre; noi giocavamo a palline sul sagrato della chiesa, punto di ritrovo dei nostri giochi, diversi in ogni stagione. Il rumore dei motori ci paralizzò e continuammo a guardare questa fila di automezzi scuri (allora camion erano rarissimi) che lentamente sfilavano davanti ai nostri occhi pieni di stupore, diretti al Palazzo. A cena i miei fratelli ne parlarono a tavola senza preoccupazione; si era in guerra, ma finora la guerra non si era ancora presentata a Cividale, se non con le comunicazioni luttuose ai famigliari dei rispettivi caduti. Ma poi, da quel momento, seguiranno da parte degli Alleati i mitragliamenti di tutte le bestie dei Borsella delle “Quattrocase” sulla strada per Rivarolo (furono uccisi tutti gli animali in fila indiana che avevano appena arato: cavalli, muli, buoi. Gli accompagnatori rimasero indenni, ed ogni anno poi fecero celebrare una Messa di ringraziamento per il miracolo ricevuto; poi ci fu il bombardamento delle scuole, lo spezzone caduto sull’ultima cascina vicino al cimitero, il mitragliamento di un povero carrettiere da parte di un aereo che mitragliò continuamente frantumando le tegole dei tetti della casa dei Borsella e poi, due chilometri oltre la Bonifica, il carrettiere, sentendo l’urlo impressionante di quel caccia mi ricordo che stavo giocando e che quel rumore spaccava le orecchie- si nascose dietro una pianta vicino alla Madonnina, ma una pallottola di grosso calibro trapassò la pianta e gli spaccò il cuore. Mio fratello Don Egisto, allora studente di Teologia, ebbe dal parroco Don Vincenzo Vescovi il permesso di poter dargli l’estrema unzione in “puncto mortis”. Ebbene, nella nostra innocenza-incoscienza, siamo corsi ventre a terra lungo la strada per Bozzolo a raccogliere i bossoli di ottone. Ne conservo ancora uno col quale giocano i miei nipoti. IL SOGGIORNO PACIFICO DEGLI OCCUPANTI Dopo pochi giorni, i tedeschi iniziarono a frequentare l’osteria dei Malerba; cenavano nel locale di destra, risistemato l’anno scorso da Egisto Marini, rimasto tale e quale fino ad allora. Era anche la mescita del vino per i civili, misurato a litro. Qui dai Malerba tutte le sere i tedeschi cenavano a turno, venti per sera, e noi ragazzi, guidati dal nostro leader “Burtul” , facevamo la posta vicino al grande portone per avere un po’ di pane bianco. Burtul riusciva ogni tanto a portarci qualche “panone” che dividevamo tra noi. A casa mia veniva ogni tanto un certo Walter: piccoletto, mite, sempre composto ed educato. Lo incontravamo in chiesa alla domenica e al cimitero nel pomeriggio. Ci portava sale e sapone, ricevendo da noi il lardo quando uccidevamo il maiale. Alcuni di loro frequentavano la Messa domenicale stando in fondo a destra vicino all’acquasantiera. Don Vincenzo Vescovi aveva raccomandato ai cividalesi prudenza, prudenza, prudenza. Solo una sera di maggio, dopo il Rosario, aveva calorosamente invitato ad evitare ogni provocazione dopo che era stato tagliato a loro il filo telefonico con Bozzolo. Riparato il danno, non successe più nulla. I partigiani ebbero buon senso e rispetto della loro gente, e non l’hanno sacrificata in rappresaglie sull’altare satanico delle ideologie come avvenne da altre parti. Una mattina di fine aprile in famiglia la sveglia fu così gridata: “Correte subito al Palazzo a recuperare i copertoni”. I tedeschi erano partiti di notte, lasciando dietro di loro una montagna di copertoni per camion ed auto, una vera e propria manna per i cividalesi. La storia del parroco di Cividale finito davanti al tribunale specialeUn momento marginale del tragico 1942: Don Vincenzo Vescovi, parroco di Cividale Mantovano dal '37 al 1946, è comparso davanti alla "Commissione Provinciale per la pronunzia del confino" l'8 ottobre 1942, "denunziato per essersi abbandonato a considerazioni politiche deprimenti, in occasione della richiesta di un funerale per un caduto, dimostrandosi elemento contrario alle direttive politiche dello Stato".
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E’ rivelativo il sapore delle “grida” manzoniane di quelle comunicazioni come il telegramma del 18.2.1944: ” Rilevo che le disposizioni date per il reclutamento dei lavoratori da mandare in Germania, vengono applicate con inqualificabile leggerezza. Richiamo Vostra attenzione, perché sia chiaro che invio in Germania è un atto di fede e di devozione alla Patria. Ogni evasione è un segno manifesto di malafede e tradimento. Confido Vostro interessamento ecc.” Disponeva che entro marzo dovevano esser reclutati 1.500 lavoratori al mese.
Per evitare questa sciagura si esibiva uno scritto, vidimato dalla Platzkommandantur di Cremona, nel quale uno dichiarava che, per motivi famigliari od altro, non poteva lasciare la propria residenza; così veniva scartato.
In questo “lavoro sporco”, Ferraresi, con l’ispettore della sezione lavoro della M-Kommanantur Gross e con Kempken, Kimpel suoi superiori diretti, sono stati incrollabili nel salvare il più possibile i bisognosi con certificati fasulli o nell’iscriverli nella Todt o violando le norme di guerra a beneficio di imprenditori come Auricchio o il commerciante Venier di Milano, citati da Loffi.
Il boicottaggio, che avveniva nel Cremonese, succedeva anche nel Mantovano e nel Bresciano, necessariamente con la collaborazione degli Uffici italiani come è avvenuto a Cremona. Ferraresi:” E’ così. Avevo un buon rapporto con Giacomo Leoni” che agevolò per la sua parte ed in ogni modo questa resistenza di pietà, malamente ripagato nei giorni dell'odio dopo il 26 aprile.
Il 15 dicembre ’44 la Militaerkommandantur di Brescia scriveva che “… dal novembre del ’43 al 15 agosto del ’44 l’invio in Germania di lavoratori delle tre province non superò le 500 unità mensili”, raddoppiate nel settembre del ’44 “per un intensificato impiego di misure coercitive”( E. Collotti, 1963, p. 215 cit. in Parlato ib.) .
Questo aspetto non militare della “resistenza” è un settore da studiare sistematicamente, avvalendosi della documentazione negli archivi comunali, che possono sopperire, seppur in minima parte, alla distruzione, documentata, di quintali di documenti.
Un esempio lodevole è la documentazione nel comune di Villetta Malagnino che certifica come le "circolari" prefettizie equivalessero alle "grida" manzoniane grazie alla umanità di uomini che hanno sconfitto l'ideologia totalitaria.
Il fotoreportage è di Antonio Leoni ©
L'eccidio di Codevigo, avvenuto tra il 28 aprile 1945 e la metà di giugno dello stesso anno, fu l'esecuzione sommaria di 136 tra militi della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere e civili. La Magistratura di Padova trattò la vicenda in numerosi procedimenti dal 1945 al 1950 e poi dal 1961-62 sulla base d'indagini condotte fin dall'inizio dalla polizia Alleata e dai carabinieri. Furono giudicati anche quattro partigiani della 28ª Brigata Garibaldi, tutti e quattro furono assolti.
L'ECCIDIO. I comandi della 28ª e del "Cremona" non furono mai soggetti a procedimenti penali poiché i fatti si svolsero al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e a loro insaputa. Alcune fonti sostengono che all'eccidio avvenuto in varie località in prossimità di Codevigo, parteciparono elementi provenienti dalle formazioni partigiane locali, elementi provenienti dalla 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", militari inquadrati nel gruppo di combattimento "Cremona", unità dell'esercito italiano alle dipendenze dell'VIII armata Britannica, sotto il cui comando era anche la 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", comandata da Arrigo Boldrini.
Nell'atto della Prefettura di Padova del 25 maggio 1945 oltre all'attribuzione certa di alcune esecuzioni a militari del "Cremona"(Corinna Doardo, Bubola Mario o Ludovico) si comunicò che la Polizia Alleata aveva deciso di disarmare i militari del "Cremona" presenti a Codevigo. Il territorio era stato occupato dalla 28ª Garibaldi, da varie formazioni partigiane venete e dai reparti del "Cremona" e l'azione di polizia e d'ordine pubblico era svolta dal CLN locale.
EPISODIO. Si tratta di uno degli episodi più gravi tra quelli avvenuti nell'Italia nordorientale nei giorni a cavallo della resa incondizionata in Italia delle forze tedesche e fasciste repubblicane, effettiva a partire dal 3 maggio 1945. Nella sola zona di Treviso furono almeno 630 le esecuzioni ad opera dei partigiani nei confronti dei fascisti arresi ed altre 391 nella zona di Udine. In quei giorni furono operati eccidi e stragi a Pedescala di Valdastico, Castel di Godego di Treviso, Saonara e Saccolongo di Padova.
VITTIME. Negli anni sessanta alcuni parenti delle vittime disperse iniziarono la ricerca dei corpi, in genere abbandonati e sepolti in fosse comuni, nei cimiteri o nei campi. Furono trovati 114 corpi, ma non fu possibile l'identificazione per tutti: 77 salme furono recuperate nel cimitero di Codevigo, 17 nel cimitero di S.Margherita, 12 nel cimitero di Brenta d'Abbà. Molti scomparsi non furono ritrovati. Il 27 maggio 1962 fu inaugurato un Ossario costruito nel cimitero di Codevigo, a cura della Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi della R.S.I., in cui sono sepolti i resti di 114 corpi, tra cui 16 ignoti. 136 le vittime totali.
FILM. Nel 2014 è uscito un film che racconta della strage, dal titolo Il segreto d'Italia per la regia di Antonello Belluco, soggetto e sceneggiatura di Gerardo Fontana (1953-2013) e Antonello Belluco, con Romina Power tra i protagonisti.
Parliamo di un luogo dove la Misericordia venne a mancare, la Caserma Paolini: tragedie fuori e dentro, ricordate da Carlo Azzolini che fu detenuto in quella caserma. (vai a leggere, cliccando qui). Per le altre puntate clicca qui
E' con questo spirito che il Vascello ha ideato e prosegue la sua inchiesta, con fatti incontrovertibili e contro ogni tentativo, locale e non, di riaccendere un odio che risale a giorni ormai passati e rivisti dalla storia, dalle testimonianze dirette, da sentenze di tribunale. Il mondo è cambiato rispetto a 71 anni fa ed uno sforzo, per un futuro accettabile deve essere compiuto in questi giorni che la violenza sembra riesplondere con inusitata violenza.(Vai a leggere, cliccando qui). Per le altre puntate clicca qui