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Un'altra eccezionale puntata con nuovi documenti della inchiesta
"I Gendarmi della Misericordia"

Naples Ferraresi e la direzione della Todt con la "buona gente" del Platzkommandantur di Palazzo Trecchi: tutti costoro, a rischio di fucilazione
evitarono a centinaia di uomini la deportazione in Germania

Storia di una resistenza suggerita dalla pietà e non dall'odio sanguinoso dei rossi e dei voltagabbana

di Giovanni Borsella

E’ stato Fabrizio Loffi, giornalista de “La Cronaca”, a stanare il 24 giugno 2008 l’impavido Naples Ferraresi simbolo, ancora vivente, della resistenza dello spirito al nazifascismo con copiosi frutti i bontà maturati nell’inferno della guerra civile dall’8 settembre 1943 a dopo il 25 aprile 1945, quando iniziarono vendette così orrende, che ancor oggi, dopo più di 70 anni, sono censurate dalle istituzioni e dai mezzi di comunicazione, perchè distruggerebbero quella vulgata della “resistenza” , che dà ad intendere di aver liberato l’Italia dal nazifascismo, quando invece son stati gli Alleati.

Una vera resistenza c’è stata, ma non fu certo quella che ha provocato intenzionalmente le tremende automatiche rappresaglie , l’uccisione di soldati in ritirata o inermi.

L'incontro con Naples Ferraresi: con me si schierò la "brava gente"

Incontriamo Naples Ferraresi, 94 anni, nella sua amabile casetta in via Cesare Battisti ai bordi di San Marino, frazione di Gadesco Pieve Delmona. Accolti da Anna Lodi, lui, Naples ci squadra coi suoi occhi pensosi mentre siede sul divano.

Con piglio solido conferma tutto quello che Loffi ha ricostruito della sua opera benefica assieme ai suoi amici tedeschi nella Platzkommandantur di palazzo Trecchi a Cremona, rischiando la fucilazione. Ferraresi ci conferma: “Erano tutti buoni quei tedeschi di palazzo Trecchi! Con me si schierò la brava gente” pur conoscendo la tragica morte di alcuni giovani dell’Oratorio dei Bernabiti mandati letteralmente al macello..

Qui ci limitiamo a completare, dopo le pagine di Loffi, la biografia di Naples : nato a Calvatone il 25 marzo 1923, orfano, giovanissimo, di padre; emigrato a Berlino nel 1939, qui ha lavorato in una gioielleria vicino all’Alexanderplatz .Nel corso di quasi tre anni, imparò così bene il tedesco, che gli assicurò l’incarico di interprete alla Platzkommandantur: un posto delicato ed importantissimo, perché poteva “filtrare” , a fin di bene, le rispettive comunicazioni.

Nel tratteggiare la sua biografia, è mancato finora il suo inserimento nell’ambiente di lavoro, documentato a grandi linee da Armando Parlato (1984, pagg 58 e ss) sulla scorta della fonte dell’Archivio storico di Friburgo i.B.

La complessa macchina amministrativa della Wehrmacht, che sovrastava quella fascista, si occupava di tutta la vita pubblica in tempo di guerra: generi alimentari soggetti a razionamento ( le famose “tessere” per ogni alimento); si occupava di “borsa nera”, di rifiuto all’ ammasso di una percentuale della produzione agricola; dell’afflusso volontario di mano d’opera in Germania, come è successo a Ferraresi e a una francescana del Terz’Ordine, di mia conoscenza, finita ad Hannover... e chissà quanti altri.

Man mano il nazifascismo subiva crescenti rovesci costati milioni di morti e subendo distruzioni apocalittiche, l’apparato amministrativo italo-germanico fu indotto ad attuare un ingaggio coatto di mano d’opera italiana destinata all’industria bellica e all’agroindustria.

Costretti a lavorare in Germania furono gli “eversori” del regime nazifascista: i renitenti alla leva, chi faceva mercato nero, chi veniva sorpreso ad ascoltare Radio Londra o distribuiva fogli anti-regime…: finivano nel campo di concentramento di Neumarkt in der Oberpfalz a una ventina di Km a sud est di Norimberga, per essere poi smistati o in fabbrica o in settori dell’agroalimentare, come succedeva agli Internati Militari Italiani.

Un’ultima premessa prima di capire come agiva Ferraresi coi suoi amici tedeschi: la “Todt”, così detta dal suo”inventore” Fritz Todt, assicurava da noi rifugi antiaerei lungo le strade o nei centri abitati, la sistemazione delle strade e, soprattutto, era impegnata in grandi lavori di difesa della riva sinistra del Po, per opporsi all’avanzata degli Alleati

I lavoratori erano ben pagati; era perciò un’occupazione ricercata presso gli uffici dell’Istituto-Ispettorato tedesco di piazza sant’Agostino e via Capra diretto dall’ispettore Paul Lehman oppure presso l’Ufficio distaccato in via Tibaldi della Militaerverwaltung ( MV) diretto da Giacomo Leoni.

Il vertice della MV, la Kommandantur di Brescia ( dalla quale Mantova e Cremona dipendevano), per ovvi motivi bellici premevano vieppiù gli uffici italiani per rastrellare gente da inviare in Germania. Ciò viene confermato dalle circolari di Attilio Romano, capo della Provincia, alle commissioni prefettizie, a tutti i podestà.


L'altra guerra: ancora testimonianze di misericordia

Cividale: un paese in pace dopo la occupazione tedesca dell'8 settembre 1'43

(g.b.) Cividale fu un’isola di pace durante l’occupazione tedesca dell’Italia dopo l’8 settembre 1943.  Non solo, alcuni degli occupanti sono persino ritornati nel paese dopo l’annientamento del Nazismo e la conseguente sparizione della Germania dalla cartina politica dell’Europa l’8 maggio 1945, occupata dagli Alleati. Poi, a partire dal giugno 1948 con la nascita della moneta unica tedesca ( 4 marchi per un dollaro), la nascita della Bundesrepublik (Repubblica Federale di Germania, cioè la Germania Ovest) i tedeschi occidentali hanno iniziato, partendo da sottozero, una rinascita in tutti i campi, al punto da rendere possibile il ritorno a Cividale da parte di alcuni che l’avevano occupato militarmente, ospiti di Guglielmino Mantovani, che già in precedenza aveva ospitato, durante la guerra civile 1943-’45, numerosi sfollati. Enzo, figlio di cotanto padre, ci ricorda i segni degl’insediamenti nella loro casa signorile e distinta per generosità e civismo, testimone anche “la Bigia” che abitava lì vicino: in ogni camera era ospitata una famiglia.

    Anche Mario Barbiani, residente al “Palazzo”, ricorda l’evento e la conferma, nei ricordi di famiglia e dea piccola comunità del Palazzo, del comportamento civico di questa quarantina di tedeschi che nascosero i camion nel parco del Palazzo, attrezzati alla rigenerazione di copertoni per auto e camion. Mario Barbiani lo incontriamo alla “Domus Pasotelli” di Bozzolo, lucido e carico di ricordi: “ Noi ragazzi avevamo sottratta una pistola dal davanzale della finestra dell’ala del Palazzo in cui risiedevano i tedeschi e giocavamo alla guerra! Poi i nostri famigliari l’hanno riportata. I tedeschi erano persone anziane, gente calma, educati; ci davano sapone e sale come a tante altre famiglie di Cividale, prodotti allora introvabili.”

  ALBERTO GORLA RICORDA

   I tedeschi erano arrivati in paese da Rivarolo Mantovano. Alberto Gorla ricorda addirittura l’ora in cui si fermò un loro carro vicino alla cappella di Santa Lucia. “Erano le 16.30. Vicino alla cappella sedeva il vecchio Rino Ongari, detto “Carota”, fumava la pipa. Capendo che erano tedeschi,nascose una medaglia al merito militare della Prima Guerra Mondiale che teneva appesa alla catenella dell’orologio. Chiesero da bere per loro e per i cavalli. Lui portò loro un secchio di acqua fresca ed un mestolo. Tutti bevvero e raccolsero pomodori nell’orticello lì vicino.”

   L’artista del ferro e degli orologi ci accoglie nella sua casa ospitale; accanto a lui la dolce sposa Rosa Manara, “vestale” di Cividale, alla stregua delle donne germaniche e romane, cultrice dei “lari”, dei trapassati ( in antico tedesco chiamati “Minnen”, da cui deriva il “Minnensang”, il canto d’amore che, originariamente, era un “fare memoria” di chi ci ha preceduto.)

 ANCHE UN BAMBINO RICORDA

   Avevo allora otto anni quando arrivarono quei soldati sui loro camion nel pomeriggio di un dolce settembre; noi giocavamo a palline sul sagrato della chiesa, punto di ritrovo dei nostri giochi, diversi in ogni stagione. Il rumore dei motori ci paralizzò e continuammo a guardare questa fila di automezzi scuri (allora  camion erano rarissimi) che lentamente sfilavano davanti ai nostri occhi pieni di stupore, diretti al Palazzo. A cena i miei fratelli ne parlarono a tavola senza preoccupazione; si era in guerra, ma finora la guerra non si era ancora presentata a Cividale, se non con le comunicazioni luttuose ai famigliari dei rispettivi caduti. Ma poi, da quel momento, seguiranno da parte degli Alleati i mitragliamenti di tutte le bestie dei Borsella delle “Quattrocase” sulla strada per Rivarolo (furono uccisi tutti gli animali in fila indiana che avevano appena arato: cavalli, muli, buoi. Gli accompagnatori rimasero indenni, ed ogni anno poi fecero celebrare una Messa di ringraziamento per il miracolo ricevuto; poi ci fu il bombardamento delle scuole, lo spezzone caduto sull’ultima cascina vicino al cimitero, il mitragliamento di un povero carrettiere da parte di un aereo che mitragliò continuamente frantumando le tegole dei tetti della casa dei Borsella e poi, due chilometri oltre la Bonifica, il carrettiere, sentendo l’urlo impressionante di quel caccia – mi ricordo che stavo giocando e che quel rumore spaccava le orecchie- si nascose dietro una pianta vicino alla Madonnina, ma una pallottola di grosso calibro trapassò la pianta e gli spaccò il cuore. Mio fratello Don Egisto, allora studente di Teologia, ebbe dal parroco Don Vincenzo Vescovi il permesso di poter dargli l’estrema unzione in “puncto mortis”.

   Ebbene, nella nostra innocenza-incoscienza, siamo corsi ventre a terra lungo la strada per Bozzolo a raccogliere i bossoli di ottone. Ne conservo ancora uno col quale giocano i miei nipoti.

 IL SOGGIORNO PACIFICO DEGLI OCCUPANTI

    Dopo pochi giorni, i tedeschi iniziarono a frequentare l’osteria dei Malerba; cenavano nel locale di destra, risistemato l’anno scorso da Egisto Marini, rimasto tale e quale fino ad allora. Era anche la mescita del vino per i civili, misurato a litro.

   Qui dai Malerba tutte le sere i tedeschi cenavano a turno, venti per sera, e noi ragazzi, guidati dal nostro leader “Burtul” , facevamo la posta vicino al grande portone per avere un po’ di pane bianco. Burtul riusciva ogni tanto a portarci qualche “panone” che dividevamo tra noi.

    A casa mia veniva ogni tanto un certo Walter: piccoletto, mite, sempre composto ed educato. Lo incontravamo in chiesa alla domenica e al cimitero nel pomeriggio. Ci portava sale e sapone, ricevendo da noi il lardo quando uccidevamo il maiale. Alcuni di loro frequentavano la Messa domenicale stando in fondo a destra vicino all’acquasantiera. Don Vincenzo Vescovi aveva raccomandato ai cividalesi prudenza, prudenza, prudenza. Solo una sera di maggio, dopo il Rosario, aveva calorosamente invitato ad evitare ogni provocazione dopo che era stato tagliato a loro il filo  telefonico con Bozzolo. Riparato il danno, non successe più nulla. I partigiani ebbero buon senso e rispetto della loro gente, e non l’hanno sacrificata in rappresaglie sull’altare satanico delle ideologie come avvenne da altre parti.

    Una mattina di fine aprile in famiglia la sveglia fu così gridata: “Correte subito al Palazzo a recuperare i copertoni”. I tedeschi erano partiti di notte, lasciando dietro di loro una montagna di copertoni per camion ed auto, una vera e propria manna per i cividalesi.

La storia del parroco di Cividale finito davanti al tribunale speciale

Un momento marginale del tragico 1942: Don Vincenzo Vescovi, parroco di Cividale Mantovano dal '37 al 1946, è comparso davanti alla "Commissione Provinciale per la pronunzia del confino" l'8 ottobre 1942, "denunziato per essersi abbandonato a considerazioni politiche deprimenti, in occasione della richiesta di un funerale per un caduto, dimostrandosi elemento contrario alle direttive politiche dello Stato".
Nato nel 1884, vicario in diversi paesi fino al suo ingresso come parroco a Cividale per 9 anni nel '37. Concluse la sua vita operosa anella parrocchietta Isolello, ai bordi della via Postumia, il 9 marzo 1962.
E' la prima volta che viene pubblicata questa drammatica vicenda, nei dettagli principali, perchè possa alimentare la riflessione su quegli anni, quando i nazifascisti vennero arrestati nel loro espansionismo travolgente e cominciò la loro lunga agonia bellica. Il 7 novembre 1942, un mese dopo la condanna di don Vincenzo, gli Alleati sbarcavano in Nord Africa ed i fascisti di una volta si attrezzavano a cambiare casacca.
IL "CRIMINE DI DON VINCENZO"
Riassumiamo la relazione del Questore di Mantova (15.8.'42): il 7 o 8 agosto Bini Osvaldo dell'Ufficio Combattenti ed il militare Giovanni Franchini fratello del caduto Rinaldo cooncordato col Parroco il suffragio di seconda classe, il suono delle campane come se fosse stato di prima classe del Caduto; il Parroco chiese 350 lire anticipate e "rivolto al fratello del Caduto, gli disse...che i Caduti ( tre. ndr) di Cividale erano un castigo di Dio per la parrocchia...questa guerra non era necessaria e si poteva evitare...
Politicamente il don Vescovi non manca, come nel fatto attuale, allorchè può, di lanciare la frizzatina, di metterfuori la frase malvagia, che impressiona il popolino. Un mese fa si recò a casa dell'impiegata dell'Ufficio Annonario per la scheda di macinazione del grano e disse che le Autorità lo potevano accontentare perchè, se loro avevano in mano il santo manganello, egli aveva in mano la volontà del popolo".
Processato il 12 ottobre, evitò il confino, ma per un anno venne "diffidato all'osservanza delle seguenti prescrizioni:" non dare ragioni a sospetti, non frequentare pubbliche riunioni nè spettacoli, non allontanarsi dalla propria residenza senza preavviso della PS, "non ritirarsi la sera più tardi dell'imbrunire e non uscire al mattino più presto del levar del sole, ad eccezione degli atti del suo ministero, evitare commenti deprimenti sull'azione dello Stato".
Ed ora LA RELAZIONE DI DON MAZZOLARI, a quel tempo vicario foraneo, che, la mattina del processo, accompagnò a Mantova in Tribunale don Vincenzo l' "elemento pericoloso per gli ordinamenti politici dello stato..."( così nell'Ordinanza di Ammonizione del 12 ottobre '42).
Riproduciamo la comunicazione di don Primo al vescoco Cazzani: Bozzolo 12 ottobre '42.
Eccellenza
.... Vi mando con la lettera una breve relazione, che più volentieri e più ampiamente Vi avrei fatto, sulla chiamata di di don Vincenzo Vescovi.
Sabato ò parlato col Prefetto e col Questore. Il Federale era a Roma.
Potei però conferire con la Reggente dei Fasci femminili e col vice-federale il commendator Carra, i quali mi prepararonocon colloqui con questa---(incomprensibile nel manoscritto ndr).
Infatti alle 10 , potevo presentarmi anche al Federale.
Da tutti ebbi un'udienza cordiale ed aperta, durante la quale ò potuto illustrare, più che i fatti, ai quali è stato dato un significato gravissimo, la persona dell'accusato.
Il Prefetto ed il Questore mi si mostrarono particolarmente e sinceramente dispiaciuti, assicurandomi che avrebbero giudicato con grande benevolenza soprattutto in riguardo alla Vostra Eccellenza, di cui mi hanno parlato con ammirazione e simpatia. E la prima prova fu che don Vincenzo potè presentarsi a piede libero. Anche il federale ebbe parole deferentissime per Voi.
Con queste speranze, ma non senza timori, accompagnai stamane don Vincenzo davanti alla Commissione. L'interrogatorio durò un ventina di minuti. Ne uscì disfatto e con l'impressione che l'avevano assegnato al confino.
Sotto questa angosciosa impressione abbiamo atteso oltre le 13, perchè c'erano altri tre detenuti da giudicare.
La sentenza di un anno di ammonizione a don Vincenzo mi fu comunicata dal Questore stesso. In un colloquio personale il Questore mi confidava che don Vincenzo non avrebbe potuto difendersi peggio e che, se i membri più influenti non fossero stati messi sull'avviso della sua insufficienza, l'impressione dell'interrogatorio avrebbe potuto portare gravi coseguenze.
L'ammonizione non procurerà a don Vincenzo un grosso disagio, perchè tanto il Podestà di Rivarolo come il maresciallo di Bozzolo sono molto ben disposti verso di lui.
Poco fa prima di lasciarlo, anche per incarico del Questore, che si è dimostrato più che paterno,ò ripetuto a don Vincenzo le raccomandazioni più urgenti. Sara bene però che Vostra Eccellenza o il Vicario Generale gliele ripetano con autorità poichè............
Mandatemi, Eccellenza, la Vostra paterna benedizione!
Con filiale devozione
Vostro Sac. Primo Mazzolari
In questo episodio, periferico rispetto alla "grande storia" si leggono tre linguaggi, che rivelano le ragioni di vita, quando era ( ed ancor oggi si ripete in modo analogo) necessario trovare un sostegno in una società dominata dalla forza e dal potere: l'immediatezza temperamentale di don Vincenzo( ebbe una premurosa predilezione per noi poveri); le modalità diverse nel gestire il potere come abbiam visto nel "caso Naples" e l' "intelligenza clericale" comune a don Primo ed ai gestori del potere

Ordini che ebbero la sorte delle "grida manzoniane"

E’ rivelativo il sapore delle “grida” manzoniane di quelle comunicazioni come il telegramma del 18.2.1944: ” Rilevo che le disposizioni date per il reclutamento dei lavoratori da mandare in Germania, vengono applicate con inqualificabile leggerezza. Richiamo Vostra attenzione, perché sia chiaro che invio in Germania è un atto di fede e di devozione alla Patria. Ogni evasione è un segno manifesto di malafede e tradimento. Confido Vostro interessamento ecc.” Disponeva che entro marzo dovevano esser reclutati 1.500 lavoratori al mese.

Per evitare questa sciagura si esibiva uno scritto, vidimato dalla Platzkommandantur di Cremona, nel quale uno dichiarava che, per motivi famigliari od altro, non poteva lasciare la propria residenza; così veniva scartato.

In questo “lavoro sporco”, Ferraresi, con l’ispettore della sezione lavoro della M-Kommanantur Gross e con Kempken, Kimpel suoi superiori diretti, sono stati incrollabili nel salvare il più possibile i bisognosi con certificati fasulli o nell’iscriverli nella Todt o violando le norme di guerra a beneficio di imprenditori come Auricchio o il commerciante Venier di Milano, citati da Loffi.

Ferraresi: “Abbiamo favorito tanti, che più non ricordo

Il boicottaggio, che avveniva nel Cremonese, succedeva anche nel Mantovano e nel Bresciano, necessariamente con la collaborazione degli Uffici italiani come è avvenuto a Cremona. Ferraresi:” E’ così. Avevo un buon rapporto con Giacomo Leoni” che agevolò per la sua parte ed in ogni modo questa resistenza di pietà, malamente ripagato nei giorni dell'odio dopo il 26 aprile.

Il 15 dicembre ’44 la Militaerkommandantur di Brescia scriveva che “… dal novembre del ’43 al 15 agosto del ’44 l’invio in Germania di lavoratori delle tre province non superò le 500 unità mensili”, raddoppiate nel settembre del ’44 “per un intensificato impiego di misure coercitive”( E. Collotti, 1963, p. 215 cit. in Parlato ib.) .

Questo aspetto non militare della “resistenza” è un settore da studiare sistematicamente, avvalendosi della documentazione negli archivi comunali, che possono sopperire, seppur in minima parte, alla distruzione, documentata, di quintali di documenti.

Un esempio lodevole è la documentazione nel comune di Villetta Malagnino che certifica come le "circolari" prefettizie equivalessero alle "grida" manzoniane grazie alla umanità di uomini che hanno sconfitto l'ideologia totalitaria.

Il fotoreportage è di Antonio Leoni ©

A Padova si torna a parlare dell'eccidio di 136 militari e civili, ad opera di partigiani e membri del "Cremona": dalla tragedia un film con Romina Power

L'eccidio di Codevigo, avvenuto tra il 28 aprile 1945 e la metà di giugno dello stesso anno, fu l'esecuzione sommaria di 136 tra militi della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere e civili. La Magistratura di Padova trattò la vicenda in numerosi procedimenti dal 1945 al 1950 e poi dal 1961-62 sulla base d'indagini condotte fin dall'inizio dalla polizia Alleata e dai carabinieri. Furono giudicati anche quattro partigiani della 28ª Brigata Garibaldi, tutti e quattro furono assolti.

L'ECCIDIO. I comandi della 28ª e del "Cremona" non furono mai soggetti a procedimenti penali poiché i fatti si svolsero al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e a loro insaputa. Alcune fonti sostengono che all'eccidio avvenuto in varie località in prossimità di Codevigo, parteciparono elementi provenienti dalle formazioni partigiane locali, elementi provenienti dalla 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", militari inquadrati nel gruppo di combattimento "Cremona", unità dell'esercito italiano alle dipendenze dell'VIII armata Britannica, sotto il cui comando era anche la 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini", comandata da Arrigo Boldrini.

Nell'atto della Prefettura di Padova del 25 maggio 1945 oltre all'attribuzione certa di alcune esecuzioni a militari del "Cremona"(Corinna Doardo, Bubola Mario o Ludovico) si comunicò che la Polizia Alleata aveva deciso di disarmare i militari del "Cremona" presenti a Codevigo. Il territorio era stato occupato dalla 28ª Garibaldi, da varie formazioni partigiane venete e dai reparti del "Cremona" e l'azione di polizia e d'ordine pubblico era svolta dal CLN locale.

EPISODIO. Si tratta di uno degli episodi più gravi tra quelli avvenuti nell'Italia nordorientale nei giorni a cavallo della resa incondizionata in Italia delle forze tedesche e fasciste repubblicane, effettiva a partire dal 3 maggio 1945. Nella sola zona di Treviso furono almeno 630 le esecuzioni ad opera dei partigiani nei confronti dei fascisti arresi ed altre 391 nella zona di Udine. In quei giorni furono operati eccidi e stragi a Pedescala di Valdastico, Castel di Godego di Treviso, Saonara e Saccolongo di Padova.

VITTIME. Negli anni sessanta alcuni parenti delle vittime disperse iniziarono la ricerca dei corpi, in genere abbandonati e sepolti in fosse comuni, nei cimiteri o nei campi. Furono trovati 114 corpi, ma non fu possibile l'identificazione per tutti: 77 salme furono recuperate nel cimitero di Codevigo, 17 nel cimitero di S.Margherita, 12 nel cimitero di Brenta d'Abbà. Molti scomparsi non furono ritrovati. Il 27 maggio 1962 fu inaugurato un Ossario costruito nel cimitero di Codevigo, a cura della Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi della R.S.I., in cui sono sepolti i resti di 114 corpi, tra cui 16 ignoti. 136 le vittime totali.

FILM. Nel 2014 è uscito un film che racconta della strage, dal titolo Il segreto d'Italia per la regia di Antonello Belluco, soggetto e sceneggiatura di Gerardo Fontana (1953-2013) e Antonello Belluco, con Romina Power tra i protagonisti.


I giorni torbidi del 1944-45

Quando la Misericordia viene a mancare: la Caserma Paolini e negli scritti d'un detenuto le tragedie fuori e dentro, nonostante il bando del questore Ferretti

Parliamo di un luogo dove la Misericordia venne a mancare, la Caserma Paolini: tragedie fuori e dentro, ricordate da Carlo Azzolini che fu detenuto in quella caserma. (vai a leggere, cliccando qui). Per le altre puntate clicca qui

Dalla Frankfurter Allgemeine: un medico nel furore della Linea Gotica

E' con questo spirito che il Vascello ha ideato e prosegue la sua inchiesta, con fatti incontrovertibili e contro ogni tentativo, locale e non, di riaccendere un odio che risale a giorni ormai passati e rivisti dalla storia, dalle testimonianze dirette, da sentenze di tribunale. Il mondo è cambiato rispetto a 71 anni fa ed uno sforzo, per un futuro accettabile deve essere compiuto in questi giorni che la violenza sembra riesplondere con inusitata violenza.(Vai a leggere, cliccando qui). Per le altre puntate clicca qui



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di Gio, 9 mar 2017.