Silenzio pubblico dopo alcune aperture al Parco dei Monasteri nel programma del sindaco E’ in pericolo l’affresco del Massarotti gemma di un immenso tesoro come l'illustre convento femminile di San Benedetto di Angelo Garioni Sabadini Parliamo di nuovo delle tristi vicende della Cremona contemporanea e dell'abbandono dei suoi più prestigiosi monumenti d'arte e storia. Raccontiamo la vicenda del Monastero di San Benedetto ed in particolare dell'affresco della volta della chiesa omonima, La Gloria dell'Ordine Benedettino, opera del pittore cremonese Angelo Innocente Massarotti, per il quale va lanciato l’allarme è in grave pericolo. L'interno del monastero di San Benedetto. Qui si aggirarono le canonichesse di S. Carlo, dame di grande lignaggio aristocratico istruite per andare alla corte di Vienna. Ecco un aspetto del patrimonio che Cremona cede o cederà alla speculazione nella più completa indifferenza pubblica che si condede Santa Monica ma che demolisce il sogno del Parco dei Monasteri. La revisione architettonica del monastero di Santa Monica fu frutto della collaborazione nientemeno che del Piermarini con Faustino Rodi e sotto la supervisione diretta dell'imperatore d'Austria Giuseppe II. (foto Antonio Leoni ©)
Il complesso di San Benedetto è sito nel cosiddetto parco dei Monasteri, in quella vasta area cittadina nei pressi della chiesa di Sant'Ilario, costituito da una triade di ex edifici ecclesiastici (San Benedetto, Corpus Domini e Santa Chiara), racchiuso tra le vie dei Mille, via Aldo Protti, via Giovanni Carnevali detto il Piccio, via Racchetta e via Chiara Novella. Tre monasteri immensi, bellissimi, ai quali potremmo aggiungere i vicini cenobi di Santa Monica (ex Caserma Goito) e dell'Annunciazione (ex Caserma Manfredini), siti in via Stefano Leonida Bissolati, già Contrada del Cannone. Tutti femminili. Si tratta di una zona molto interessante per gli studiosi del territorio, tanto che alcuni anni fa, dopo gli scavi condotti nel 2009 in occasione di un saggio archeologico finanziato dal Comune di Cremona, emersero risultati significativi che hanno permesso di chiarire ulteriormente la situazione topografico-urbanistica in età antica del settore occidentale della città. Il dato di maggior interesse, emerso per la fase romana, è rappresentato dalle asportazioni murarie, indicative della presenza di un edificio di grandi dimensioni. Forse ad uso pubblico. È importante rilevare come l’evidenza delle strutture romane rintracciate, sia un dato fondamentale, che concorre a definire gli spazi abitativi antichi in questa fascia della città, che, anche alla luce di altre indagini nelle aree contigue, si configura come caratterizzata dalla presenza di un buon numero di residenze romane. Un dato che cambia l'aspetto della zona, ritenuta fino a pochi decenni fa libera da domus o altri edifici romani. L'area di San Benedetto ricadeva, inoltre, in uno spazio suburbano e l’orientamento generale dell’edificio individuato si rivela prezioso nella definizione dell’assetto urbano extramoenia. Il monastero di San Benedetto ha origini molto antiche, probabilmente alto-medioevali. I primi documenti risalgono al 1089, quando l'abate di Nonantola, tale Damiano, concedeva un terreno in braida, ovvero in quella fascia della città, che circondava le mura romane di Cremona, adibita ad orti, nei pressi del porto della città (il porto fluviale di Cremona dobbiamo immaginarlo come una serie di approdi lungo tutta la fascia occidentale, in particolare vicino alla foce del Morbasco), per edificare il cenobio maschile, afferente all'ordine benedettino. Poco dopo, nel 1153 divenne monastero femminile, funzione che conservò per circa seicento anni, fino al 1784, quando, dopo le soppressioni volute da Giuseppe II d'Austria, fu trasformato nel Collegio delle Canonichesse di San Carlo. In questa occasione vennero intrapresi degli importanti lavori di riordino dell'edificio sotto la direzione congiunta dell'architetto regio Giuseppe Piermarini (1734-1808) e del nostro Faustino Rodi. Dal 1798, con l'arrivo dei francesi in città, il collegio femminile per nobili ragazze, fu trasformato in caserma per le truppe militari. La storia comunque ebbe altre sorprese: infatti dal 1945 al 1948 accolse il D.P. Camp dei profughi ebrei. Provenienti delle zone di occupazione sovietica, questi sventurati vennero accolti in città, nelle caserme di Pagliari (San Benedetto), San Martino (Santa Chiara) e Sagramoso (Corpus Domini), proprio in quello che abbiamo già precedentemente nominato come Parco dei Monasteri, dove vissero un periodo di riabilitazione prima della partenza per Israele o gli Stati Uniti. Oggi l'ex Monastero di San Benedetto è una fabbrica immensa, piena di storia, ma abbandonata da decenni. Lo stato dei chiostri è disperante, rimane solo lo scheletro dell'architettura, sono andati persi tutti i serramenti, il mobilio, le stanze sono spoglie e malandate, gli intonaci stanno candendo inesorabilmente sotto il peso dell'incuria e del tempo. Intonaci che accolgono in molte parti affreschi, che se recuperati e opportunamente studiati potrebbero certamente cambiare la storia dell'arte cremonese. Un destino tristemente condiviso con la Cavallerizza austriaca e il vicino monastero del Corpus Domini, che versa in condizioni anche peggiori. Il complesso attualmente è adibito a gattile, rifugio per gatti randagi gestito da volontarie, mentre la maggior parte dell'edificio giace abbandonata. E’ agibile solo una porzione del complesso, quella che accoglie la biblioteca di un istituto locale di ricerca storico-economica, prospiciente su via dei Mille, contigua alla ex chiesa di San Benedetto. Prima di affrontare i problemi attuali della chiesa e dell'affresco, tema di questo intervento, dobbiamo capire l'importanza e la fama del suo autore. Questo dato non è da sottovalutare, perché parliamo di un artista, non solo locale, ma di caratura nazionale, per formazione, contatti, relazioni sociali e soprattutto per la qualità delle opere realizzate. Angelo Massarotti era figlio di Bartolomeo e di Angela, e nacque il 3 giugno 1654 a Cremona, dove fu battezzato nella parrocchia di S.Paolo. Intorno al 1667 il padre lo avviò allo studio della pittura per tre anni presso Agostino Bonisoli, che aveva aperto un’accademia del nudo alla corte del marchese di Bozzolo. Tra il 1673 e il 1674 soggiornò a Faenza, terra pontificia dove era governatore Gianfrancesco Rota, nobile e dotto prelato di origine cremonese. Grazie all'influenza del Rota, viene inviato nel 1674 a Roma, presso la prestigiosa Accademia di S. Luca. Trascorsi pochi mesi sotto l’insegnamento di Carlo Ciagni, il M. passò alla scuola del pittore reatino Carlo Cesi, un seguace di Pietro Berrettini detto Pietro da Cortona. A Roma, arricchì la sua prima formazione cremonese, influenzata dalle opere del Genovesino, ed affinò la pratica del disegno e lo studio degli antichi maestri, copiando soprattutto le opere di Raffello e della sua scuola. Parimenti si interessò alle composizioni più dinamiche e teatrali di Pietro da Cortona e di Giovan Battista Gaulli. Nell'Urbe ottenne il primo incarico da monsignor Francesco Maria Febei, commendatario di S.Spirito, che nel 1680 lo pagò per due opere eseguite nella chiesa di S.Anastasia. Sempre fra il 1679 e il 1680, su ordine del medico piceno Giovanni Tiracorda, eseguì la decorazione della cappella di famiglia dedicata a S.Lutgarda in S.Salvatore in Lauro. L’impresa della cappella Tiracorda, suscitò unanime consenso, spronò il Massarotti a chiedere l’ammissione all’Accademia di S.Luca. Per l’occasione realizzò, come prevedeva il regolamento della scuola, una Madonna col Bambino. La commissione esaminatrice valutò positivamente il lavoro e ammise il Massarrotti fin dal 1680. Nel gennaio del 1681, divenne membro dell’altra grande istituzione artistica romana, l’Accademia dei Virtuosi al Pantheon. In questo periodo si susseguirono varie committenze, tra cui la decorazione dell’oratorio di S.Maria Annunziata, un’istituzione legata all’ospedale di S.Spirito in Sassia. Angelo Massarotti rientrò in patria nel 1681. Trascorse i primi anni passando da Parma per studiare il Correggio e da Bussetto, dove ha eseguito alcune opere. Con Francesco Bocaccino divenne in breve tempo il protagonista della vita culturale cremonese, lavorando per la nobiltà e gli ordini religiosi. Intorno al 1686, dipinse su commissione di Felice de Pardo, governatore spagnolo di Cremona tra il 1675 e il 1688, la tela raffigurante l’Immacolata con S.Nicola da Tolentino, due santi monaci e le figlie del committente, per la chiesa di S.Ilario. Del 1689 è la tela firmata in S.Agostino con S.Tommaso di Villanova che distribuisce l’elemosina ai poveri. Sempre in questi anni deve collocarsi la tela della controfacciata, con S.Agostino che consegna la regola, dove alcuni studiosi locali intravedono tra il pubblico che circonda il santo titolare, il ritratto di un giovane Antonio Stradivari (per questa tesi si possono leggere i saggi di Elia Santoro). All’inizio del Settecento devono datarsi i famosi teleri per la chiesa gesuitica dei Ss.Marcellino e Pietro. Nelle cappelle laterali la Vergine con il Bambino tra i ss.Luigi Gonzaga, Francesco Borgia e Stanislao e il Cristo portacroce appare a S.Ignazio; ai lati del presbiterio il Trasporto delle spoglie dei Ss.Marcellino e Pietro e I ss.Marcellino e Pietro proteggono le milizie cremonesi nella battaglia delle Bodesine. E' infatti la rievocazione della vittoria con cui i Cremonesi nel 1213 erano riusciti a strappare a Milano il carroccio e a rivendicare la propria indipendenza. Nel 1709 il risulta essere priore della Confraternita della chiesa dei Ss.Egidio e Omobono a Cremona, dove decorò, la cappella dei Ss. Apostoli Pietro e Paolo, patronato di Giulio Cesare Visconti, con una pala d’altare raffigurante il Commiato di Cristo dalla madre. Nel 1715 dipinse per i teatini di S.Antonio Abate nove tele con episodi della Vita e dei miracoli di S.Andrea Avellino, oggi nella sagrestia di S.Abbondio a Cremona. L’ultima opera documentata del Massarotti è il S.Agostino che medita sul mistero della Trinità, conservata nel presbiterio di S.Agostino. Il Massarotti morì a Cremona nel 1723 e, secondo le sue ultime volontà, venne sepolto nella chiesa del monastero francescano del Corpus Domini. Ebbe un figlio, il cui nome rimane ignoto, che secondo lo Zaist fu «non curante e trasandato» e alla morte del padre ne disperse la raccolta dei disegni.
La splendida foto dell'affresco è di Giuliano Regis, scattata subito dopo il restauro del 1986 La chiesa in cui si trova l'affresco, su cui vogliamo ora concentrare l'attenzione, è situata nel lato settentrionale del complesso, fiancheggiata dalla via dei Mille. E' divisa in due parti, come nell'uso monastico: una esterna, accessibile alle popolazione mondana della vicinia, ed una interna, destinata al culto delle monache. Il bellissimo affresco barocco del Massarotti si trova nella chiesa esterna, che proprio per la sua bellezza è stata sempre conservata sino ai nostri giorni. L'affresco celebra le glorie dell'ordine benedettino e del santo titolare della chiesa. Fu dipinto intorno alla fine del XVII secolo, non si hanno datazioni certe, tranne che all'inizio del Settecento l'opera era certamente conclusa (Alessandro Serafini colloca l'opera al 1702). Nella sua guida del 1794, “Le pitture e le sculture della città di Cremona”, Giuseppe Aglio ci riporta che “Questa Chiesa fu tutta dipinta da' Angelo Massarotti, e fra le altre di lui encomiate opere si è il Quadro all' Altar maggiore, su di cui rappresentata si ammira l'Assensione del Salvatore al Cielo, d' un nobile partito d' istoriato , e pel giudizioso collocamento delle figure, e per la direzione del lume. Altri cinque Pezzi di Quadri a olio sono ripartiti intorno alla Chiesa, che danno a divedere che lo stesso Artefice era avezzo a far molto bene”. Lo Zaist nel profilo che dedica al Massarotti, ricorda così l'opera: «... nella volta della chiesa delle Monache di San Benedetto qui in Patria, avendovi egli dipinto a fresco il S. Patriarca in gloria, entro un bel Paradiso, vi si vede effigiata una gran moltitudine di santi e sante dell'Ordine monastico, come se fatte fossero ad olio (...)». Mentre così descrive l'affresco mons. Franco Voltini «La composizione si snoda dal basso, a partire dalla figura di S. Gregorio Magno, il primo e più illustre biografo di S. Benedetto, per salire secondo uno svolgimento a spirale che, andando verso sinistra, comprende altri tre Papi, certo appartenenti all'Ordine benedettino; assicura, ovviamente, sulla destra un posto di evidenza a S. Benedetto, alle cui spalle è la sorella S. Scolastica, mentre sullo sfondo appare significativamente l'immagine di Mosè con le tavole della legge; piega di nuovo a sinistra dove emerge la Vergine da un gruppo di santi tra i quali si riconoscono S. Giuseppe e il Battista; si conclude al vertice con la visione di un luminoso empireo nel quale è collocata la SS. Trinità. In funzione di completamento e di legame compositivo molte altre figure di Santi si accompagnano, su diversi piani, a quelle più eminenti, con il consueto corteggio d'Angeli librati tra le nubi e le improvvise aperture del cielo. Ma il dovizioso repertorio iconografico, che abbiamo solo individuato nelle componenti di maggior rilievo, resta tutto da identificare in una ben più approfondita indagine, che tenga conto, naturalmente, dei fattori storico - religiosi caratterizzati soprattutto l'ambiente locale nel tempo in cui la grande impresa pittorica veniva commissionata ed eseguita”. L'affresco fu restaurato nel 1986 da Marcello Bonomi di Nembro Sotto, grazie ai fondi del Rotary Club cremonese, in occasione dei 60 anni dalla fondazione, per volontà del presidente di allora, Piero Negroni, sostenuto, fra gli altri, da Bruno Solzi e altri soci. Il restauro venne consegnato alla città nella persona del sindaco Zaffanella, il 10 maggio 1986. All'epoca era previsto il recupero funzionale del complesso di San Benedetto mediante il completo utilizzo, sia della chiesa esterna, sia di quella interna. La sistemazione indicata nel progetto dell'epoca prevedeva una sala principale, sale, salette, locali vari, per accogliere con comoda razionalità manifestazioni di ogni tipo. Inoltre si voleva anche l'insediamento al primo piano di un Centro per il restauro degli strumenti a corda e decorazioni lignee. Il progetto del restauro e recupero funzionale della chiesa di S. Benedetto e locali annessi era stato preparato dall'arch. Sergio Renzi in collaborazione con gli arch. Nayla Renzi e Tiziano Zanisi. Purtroppo quella lodevole iniziativa si arenò ben presto, tanto che fu asportato il pavimento per la posa di quello in marmo previsto dai progettisti, ma tutto rimase allo stato rustico, come si vede anche oggi, dove rimane solo la gettata di cemento di preparazione. Nuove speranze per il complesso si hanno, nel lontano per noi, aprile del 2002, quando viene approvato il progetto del Parco dei Monasteri con il recupero dei monasteri di Santa Monica, San Benedetto, Corpus Domini e Santa Chiara. Agli ingressi opposti del parco sarebbero state realizzate due grandi attrezzature pubbliche: a ovest, il grandissimo edificio militare della fine Ottocento e il magazzino per il ricovero dei carri avrebbe accolto lo spazio fieristico per la Liuteria e l’Artigianato artistico. A est, nelle immediate vicinanze di piazza Sant’Agata, di palazzo Trecchi e di palazzo Raimondi, il recupero della Cavallerizza e delle vicine chiese del Corpus Domini e di San Benedetto avrebbe consentito di realizzare un sistema completo di sale per la musica sinfonica e cameristica (con un palco capace di ospitare anche 150 orchestrali): in altre parole una vera e propria “cittadella della musica”. Come sappiamo tutto si fermò con la sconfitta della giunta Corada, e anche, con gli effetti della crisi economica (2009-2015) che hanno indebolito le casse comunali, rendendo per ora inattuabile il progetto. Entrando dunque all’interno della chiesa esterna di San Benedetto, si possono osservare gli stucchi dell'imposta della volta, perfettamente conservati, e il bellissimo affresco. Colpisce alla vista subito la bellezza dei colori, il loro limpido splendere nella penombra della sala, illuminata solo dalle finestre laterali affacciate su via dei Mille. Il silenzio rammenta il destino di un edificio che la città non riesce a far proprio da troppo tempo. Eppure, se si osserva l'opera del Massarotti ecco che appaiano le prime lacune, e la perdita della pellicola pittorica, in più punti. L'affresco ha retto bene il tempo grazie al restauro del 1986, però, la mancanza di una manutenzione costante del tetto posto sopra la volta, ha creato le prime infiltrazioni. La situazione sempre più velocemente si sta aggravando, a causa della mancata cura del tetto, e delle precipitazioni atmosferiche che stanno investendo con molta intensità la città negli ultimi cinque anni. A tutto questo si è aggiunta la nevicata del 5-6 febbraio 2015, che costituita da neve pesante e bagnata, ha trascinato molti coppi fuori sede. Il risultato finale è la precarietà della copertura e il conseguente degrado dell'affresco del Massarotti. A questo punto ci chiediamo come tutti noi cremonesi, cittadini, possiamo aspettare inesorabilmente la perdita di una della maggiori opere d'arte della città? Possiamo sempre invocare la colpa del Comune, della Soprintendenza, dello Stato, senza renderci conto che siamo noi i primi che dobbiamo chiedere il recupero della struttura, e in assenza di un intervento pubblico, dobbiamo organizzarci da soli come nel lontano 1986. A questa domanda dobbiamo necessariamente rispondere entro poche settimane. Non attendiamo di più, perché abbiamo poco tempo, e la pioggia che cancella la gloria di San Benedetto, non aspetta di certo i nostri, a questo punto eterni, tempi umani. Una testimonianza illustre, monsignor Franco VoltiniL'affresco fu restaurato, come si è detto, nel 1986 dal Rotary Cremona che celebrava i suoi 60 anni di fondazione, presidente Piero Negroni. L'impresa era l'espressione di una città che sapeva ancora sognare. E così nel 1986 descrisse l'affresco monsignor Franco Voltini, altra evidenza di una città di qualità che ambiva all'eccellenza. "....nella volta della Chiesa delle Monache di S.Benedetto qui in Patria, avendovi egli dipinto a fresco il S. Patriarca in gloria, entro un bel Paradiso, vi si vede effigiata una gran moltitudine di Santi e Sante dell'Ordine monastico, come se fatte fossero ad olio, ma perché non v'ha sbattimenti, che formino il distacco, perciò non fan di sé quella propria veduta che far dovrebbono ". Così lo Zaist nel profilo che dedica ad Angelo Massarotti (1654-1723); e per quanto possa sembrare strano, il riferimento offre a tutt'oggi l'informazione più diffusa, e fors'anche più criticamente attenta, che sia stata riservata áI dipinto dell'ex-chiesa monastica di S.Benedetto. Certo a chi osservi ora il grande affresco, restituito com'é ai suoi valori originari dal diligente restauro di Marcello Bonomi, possono anche dispiacere gli appunti mossi all'opera dallo storico settecentesco; ma un minimo di senso storico aiuterà ad interpretare per il suo verso la valutazione che l'occhio dello Zaist, ormai addestrato alla più aggiornata voga degli "sbattimenti", poteva dare di una composizione ferma ancora al gusto di un barocco che s'intendeva superato. Di fatto, se al Massarotti può essere riconosciuto il ruolo di "nesso culturale fra il seicento e il settecento cremonese" (Puerari), si dovrà pur ammettere che, nel secolo nuovo, il pittore è entrato solo anagraficamente. Siamo sempre stati convinti che settecentesco, in accezione tutta stilistica, il Massarotti non fu mai, e che pertanto la sua produzione sia da leggere in rapporto ai moduli del passato, che erano e rimasero i suoi. La conferma é in questo affresco che finalmente, grazie alla benemerita iniziativa del Rotary Club Cremona, torna ad offrirsi al comune godimento. A quale anno esso debba esattamente datarsi non é ancora possibile determinare; ma, dopo quanto s'è detto, anche una tale precisazione é scarsamente rilevante. E' già stato reso noto, intanto, che mentre l'opera non figurava esistente al tempo della visita del Vescovo Settala del 1689, essa è già sobriamente ma puntualmente descritta nel 1702, quando il Vescovo Croci visita a sua volta la chiesa e il monastero. Ed è appunto verso quest'ultima datazione che noi tenderemmo a collocarla, viste anche analiticamente le affinità ch'essa presenta con gli affreschi che il Massarotti eseguì in S.Sigismondo proprio nel 1702. Certamente in S.Benedetto altre sono le proporzioni e altro è lo sviluppo da "gran teatro" consentito al pittore dalle dilatate superfici: l'artificio scenografico della finta architettura si leva dal cornicione ricco di stucchi per comporsi in una ornatissima balconata aperta sul cielo entro cui si distribuisce l'Apoteosi. La quale, affollata in ogni parte, è tuttavia equilibrata per il dosato articolarsi dei piani e il vario contrapporsi delle masse cromatiche. La composizione si snoda dal basso, a partire dalla figura di S.Gregorio Magno, il primo e più illustre biografo di S.Benedetto, per salire secondo uno svolgimento a spirale che, andando verso sinistra, comprende altri tre papi, certo appartenenti all'Ordine benedettino; assicura ovviamente sulla destra un posto di evidenza a S.Benedetto, alla cui spalle è la sorella S.Scolastica, mentre sullo sfondo appare significativamente l'immagine di Mosè con le tavole della Legge; piega di nuovo a sinistra dove emerge la Vergine da un gruppo di Santi tra i quali si riconoscono S.Giuseppe e il Battista; si conclude al vertice con la visione di un luminoso empireo nel quale è collocata la SS.Trinità. In funzione di completamento e di legame compositivo molte altre figure di santi si accompagnano, su diversi piani, a quelle più eminenti, con il consueto corteggio d'Angeli librati tra le nubi e le improvvise aperture del cielo. Ma il dovizioso repertorio iconografico, che abbiamo solo individuato nelle componenti di maggior rilievo, resta tutto da identificare in una ben più approfondita indagine, che tenga conto, naturalmente, dei fattori storico-religiosi caratterizzanti soprattutto l'ambiente locale nel tempo in cui la grande impresa pittorica veniva commissionata ed eseguita. (foto Giuliano Regis)
L'impresa del Rotary non si fermò all'affresco. Diede anche vita a unaiipotesi di utilizzo del Monastero, attraverso l'impegno di alcuni suoi soci, l'architetto Sergio Renzi, la figlia architetto Nayla Renzi e l'architetto Tiziano Zanisi. Ed ecco il progetto che ne sortì.
"Il progetto di recupero funzionale del complesso di S.Benedetto prevede il completo utilizzo sia della chiesa esterna che di quella interna, cioè delle due parti (una per le monache e una per i fedeli) nelle quali era divisa secondo la regola monastica benedettina. La sistemazione e le attrezzature indicate nel progetto prevedono, oltre alla sala principale, sale, salette, locali vari per accogliere in modo razionale manifestazioni di ogni tipo. Per il miglior funzionamento delle varie sale il progetto prevede inoltre l'aggregazione di altri spazi quali l'atrio, il bar, il guardaroba e i servizi igienici, questi ultimi agibili anche dall'attiguo chiostro utilizzato in funzione teatrale e/o concertistiche all'aperto. Pur non figurando nella tavola riportata qui sopra, fu previsto anche l'insediamento di un "Centro per il restauro di strumenti a corda e decorazioni lignee" al primo piano e la sede di alcune Associazioni culturali."
La storia del Collegio delle Canonichesse di S. CarloMa il Monastero di San Benedetto è stato anche al centro di una impresa storica che suscitò grande clamore non solo nella Cremona settecentesca. Il Collegio delle Canonichesse di S.Carlo. Protagonista l'Imperatore austriaco Giuseppe II, complice a quanto sostenevano alcune voci maligne la sua predilezione verso l'abbadessa, poi invitata anche a Corte a Vienna. Le canonichesse di San Carlo altro non erano che le zitelle di famiglie decadute di altissimo lignaggio che attraverso questo istituto venivano educate a frequentare la vita di Corte. Il regolamento concedeva alle canonichesse di uscire frequentemente e con minori restrizioni di orario per assistere alle commedie, partecipare ai balli della nobiltà e a feste. Perché fu scelta proprio Cremona? Perchè si voleva limitare l'anelito autonomistico di Milano e nel contempo perché in città viveva il conte Biffi che ebbe non poche grane nel condurre il collegio. Si può poi immaginare come la città provinciale accompagnasse le uscite in carrozza delle canonichesse. Ebbe un gran successo anche questo sonetto:
Dodici dame in giovanil etade, vergini ancora o tali almen credute, da diverse città qui son venute un collegio a formar di voluttade. Del vil ozio ministre e vanitade vivon fra gli agi e vivon ben pasciute, chi fa più la civetta ha più virtute e il lor pregio maggior è vanitade. Veston di nero e gli attraversa il petto un nastro a due colori da cui giù pende effigiata medaglia d'oro eletto. Son dette da ognun canonichesse, nè l'istituto lor alcun comprende, nè il fin per cui collegio tal si eresse.
Certo l'imperatore non risparmiò mezzi. Il monastero fu adattato originariamente su disegni nientemeno che del Piermarini, il quale poi affidò interamente il completamento dell'opera a Faustino Rodi. E' dunque anche a queste esperienze architettoniche che bisogna fare riferimento nel valutare il complesso che lo Stato ha deciso di vendere e che il Comune e la Provincia di Cremona senza esitazione concedono alla speculazione privata.
Per farne che? Uffici, condomini, chissà che altro. Un patrimonio di arte, storia, costume abbandonato da chi dovrebbe averne la maggior cura, cavandone vantaggi economici e turistici. Si pensi che valore avrebbe quello che ormai si può definire l'il sogno cancellato da una città che in pochi mesi ha deciso di non avere più futuro . A noi non resta che segnalare il fatto e lanciare, di fronte alla povertà culturale oltre che conoscitiva di chi non sa nemmeno adoperarsi per tenere le bocce ferme (se proprio non riesce a stillare una ideuzza) il nostro accorato ma deciso grido: Vergogna, illustri signori! Possibile che Cremona non si ribelli? Guardate i tesori nascosti Quale città mai li abbandonerebbe?
(Clicca sulla foto per una carellata complessiva sul parco dei monasteri) Si può ancora puntare al Parco ddei monasteri? Temiamo di no. Ma suggerisce un lettore, citando Ernst Junger : «Quando tutte le istituzioni divengono equivoche [...] la responsabilità morale passa nelle mani del singolo, o meglio del singolo che ancora non si è piegato. Il Ribelle è il singolo, l'uomo concreto che agisce nel caso concreto. Per sapere che cosa sia giusto, non gli servono teorie, né leggi escogitate da qualche giurista di partito. Il Ribelle attinge alle fonti della moralità ancora non disperse nei canali del patteggiamento».Ebbene, ci scrive il lettore, è il momento del Ribelle. Del singolo. Che «Deve scegliere tra seguire il branco o combatterlo». Per saperne di più: |