L'ennesima doccia fredda all'ombra del TorrazzoIl Comune vuole vendere Palazzo Magio Grasselli... siccome, per alcuni, la cultura è un lusso che Cremona non si può permettereGrandi manovre per convincere gli eredi a modificare le volontà del loro avo il quale aveva donato il Palazzo ad una sola condizione: destinarlo ad attività culturali, poteva starci ad esempio la Fondazione Stradivari ma palazzo dell'Arte sta diventando un monstrum che con la sua gestione ingoierà ogni risorsaCi aveva provato l'amministrazione Corada. Ma di fronte alla sacrosanta reazione della cultura cremonese più avvertita ed anche per rispetto di una precisa e non contestabile volontà, ha tirato indietro le unghie. Adesso si mette in campo il centrodestra che quando si trtta di privatizzare non ci pensa un secondo: Palazzo Grasselli s'ha da vendere, per fare cassa.Il tutto dopo gli importanti lavori di ripristino dei tetti e di parti edilizie che lo hanno reso certamente appetibile ai privati, posta anche la bellezza del giardino. Ma c'è un ma... il testamento e la ribadita volontà degli ultimi Grasselli che questo questo splendido palazzo seicentesco, un vero gioiello della città di Cremona, splendente con il suo fronte in via XX settembre e straordinario anche per il suo giardino (si veda il servizio di Lidia Azzolini) vada all'ente pubblico alla condizione che lo destini ad attività culturali.
E' una condizione sine qua non e a questo titolo il Palazzo è passato al Comune ed il Comune ha accettato l'eredità. Ma ancora una volta siamo di fronte ad una chiara volontà di dispersione del patrimonio edilizio o di indifferenza a qualsiasi prospettiva di utilizzo che non sia quella di vendere ai privati. La città sta paurosamente frazionando le sue bellezze, anche perchè nella sua mediocrità amministrativa non c'è alcuno che abbia qualche ideuzza per unire culture e minimi rendimenti. In fondo siamo sempre nello stesso clima, isola pedonale, organizzazione del traffico, urbanistica sono tutte figlie della città incapace. Da quanto lo si denuncia? Restando alle evidenze artistiche, il caso del Parco dei monasteri, otto ettari di città lasciati all'abbandono la dice tutta in questo senso senso, quando nessuna città al mondo si sarebbe liberata del diritto dovere di governare questa straordinaria risorsa umana, turistica e persino commerciale. Ma la città dei mediocri non può capire, capisce molto meglio la speculazione. Qui si fanno i conti alla svelta. Così assistiamo all'inverecondo tentativo di fare le pulci al testamento attraverso un notaio, Giovanni Corioni, al quale è affidato, a quanto pare, l'ingrato compito di constatare se c'è una scappatoia per sfuggire a una volontà acclamata e universalmente nota e confermata dall'accettazione dell'eredità, ma anche espressa in una quantità di convegni e riunioni della cultura cremonese dai defunti proprietari che in prima istanza volevano regalare il palazzo all'Accademia dei Lincei. Tanto per confermare che sulla volontà dei defunti non c'è il minimo dubbio. (E speriamo che se l'operazione di vendita va avanti si costituisca anche qualche associazione culturale cremonese per dichiarare che la città viene defraudata di una precisa disposizione).
Tutto questo, nelle speranze dell'attuale amministrazione, dovrebbe essere superato con i sofismi legulei che tradirebbero davvero ogni verità ed ogni storia . Un Comune che vuol fare il magliaro? Sarebbe roba da non credere. Alla operazione sarebbero chiamati in complicità gli eredi Grasselli. La storia invereconda sarebbe stata esaminata in Giunta, senza inorridire. Anzi in Giunta sarebbe anche scoppiata una lite tra l'assessore Irene De Bona e il sindaco che non sa e non vede mai nulla, che però è stato capace anche di contestare l'operazione Fodri. Qui ha visto e sentito. Perchè questo clima di vendita per Palazzo Grasselli che in attesa di chiarimenti non è stato per fortuna inserito ( non si potrebbe, ma non si sa mai...) nel calendario delle alienazioni 2012 ? Perchè viene avanti un monstrum: la prospettiva di gestione di palazzo dell'Arte che come il nostro giornale ha ripetutamente richiamato prospettando cifre minime di gestione annuale attorno ai 5 milioni di euro (se non i vuole tenere una cattedrale nel deserto, in progressivo disfacimento), ingoierà ogni risorsa della cultura cremonese negli anni a venire. Musei, mostre e quant'altro, saranno tutti a secco. Non a caso la presidente del Comitato scientifico Marabotti si è dimessa non volendo passare per la massacratrice di tutte le altre realtà culturali cremonesi, delle quali teneva conto nel suo progetto. Non è che non comprendiamo le difficoltà economiche del comune che, oltre tutto, non sa programmare neppure un piano parcheggi. Tutto ciò si somma alla evidente constatazione che per certi ambienti Cremona è un lusso che la città non può e non si deve permettere. Sorge però spontanea una domanda, come direbbero in TV: se la cultura viene trattata così, cosa resta a Cremona città d'arte, della musica e del violino? Un altro ipermercato, un appartamento di lussso in più? Per chi? Spiegatelo a chi cerca di vendere Palazzo Schizzi dopo che è diventato semplice sede di agenzia dal posto della banca Popolare di Cesare Vacchelli. Chissà se proprio di fianco a palazzo comunale, Piva e gli altri, per i quali Perri vanta una sacrosanta amicizia, saranno tanto allegri per la concorrenza del Comune alla vendita del "loro" palazzo Schizzi.
Palazzo Magio - Grasselli in via XX settembre : un palazzo in dono per la cultura di Cremona
Ne descrive le caratteristiche e le peculiarità una illustre studiosa dell'architettura civile cremonese, Lydia Azzolini, che già lo affrontò su “Mondo Padano” e quindi gli dedicò un capitolo nel libro sui Palazzi del Seicento pubblicato dalla Banca Popolare di Cremona
di Lydia Azzolini
L’austera architettura di palazzo Magio nella monumentale orizzontalità e nell’eccezionale altezza dei piani domina l’antica contrada S. Gallo. Già nel Quattrocento esisteva su quest’area la dimora di Pietro, Bartolomueo e Antonio Magio a cui succedettero i figli e i nipoti, finché, intorno agli anni 1643-45, venne rielaborata in nuove forme e dimensioni dall architetto cremonese Francesco Pescaroli. (1610 - 1679). La fronte, di una sobria eleganza, palesa nella rigida inipostazione geometrizzante delle incorniciature delle finestre, allineate in gran numero, un desiderio di ordine. di misura, di chiarezza classico-cinquecentesca. Tale rigore costruttivo, privo degli slanci inventivi del barocco, ormai trionfante nelle altre regioni, si allineava alle istanze controriformistiche instaurate in Lombardia dai precetti borromaici sull’architettura, anche civile (...) Nel nostro prospetto si nota da parte dell’architetto la tendenza a sottolineare, con formula ritardataria, unicamente gli elementi strutturali attraverso delle fasce, rilevate sul fondo liscio, che con largo motivo percorrono la fronte collegando le finestre del piano terra all’altissimo portale, di uguale concezione ma posto fuori asse alla facciata. L’intervento ottocentesco (1876) dell’arch. Marchetti per il neo-proprietario, Annibale Grasselli, fu di recupero interpretativo delle linee originali quali ancora si conservavano al pianterreno: illuminante, al proposito, è la diatriba sorta fra l’architetto e la Commissione Municipale che esigeva per le finestre del piano nobile un cappello centinato di cui erano prive mentre per le sottostanti, conservate nelle linee originali (ancora attuali), e per il portale nel mezzo si chiedeva che fosse frutta una faccettatur di adeguamento alla tipologia del piano superiore. Il Marchetti si rifiutò di assecondare queste richieste, rinunciando, piuttosto, all’incarico. Nel sostenere la tesi che le finestre dovessero esser lasciate come “trovansi al presente” adduceva che “questa è la fronte di un edificio che a mio credere non esige eleganza ma severità di forme, giusto il carattere dell’edificio stesso soggiungendo poi come non riuscisse a credere, lasciati i cappelli alle finestre del piano terreno, siasi tenuta un’altra norma per quelli del piano superiore che pur devono seguire lo stesso stile e carattere artistico”. Sull’intonaco, dipinto in rosso a simulare dei mattoni a vista, acquistano evidenza le sagome delle cornici del piano terra e i finti conci trapezoidali nella raggera superiore delle finestre, rettangolari ai lati, a imitazione del bugnato in pietra comunemente usato nel Cinquecento. Tipiche del cremonese e del mantovano le mensole e sottomensole, sagomate e inflesse, del sottogronda, già adottate allo scorcio del secolo precedente, qui ancora alternate a finestrelle rettangolari. L’andito profondo si apre sulla visione del parco, che un tempo sfamava in lontananze di orti e di campi (Grandi), ora giardino ombroso di piante secolari. A sinistra del portico di controfacciata, risolto nei moduli della serliana su colonne tuscaniche binate e trabeate, s’innalza un corpo ortogonale che forma una elle maiuscola.
| Alla scoperta delle magiche decorazioni di Giuseppe Manfredini
A Giovanni Manfredini va attribuita la decorazione del grande salone dei ricevimenti, finora inaccessibile, e dell'imponente salone che fungeva da anticamera agli appartamenti privati, qui riprodotto per la prima volta: è un'immagine di spazialità dilatata, costruita sui nessi strutturali di un'invenzione prospettica archi-tettonicamente articolata ma sviluppata ben oltre i limiti reali, sì da rendere illusoria la sua continuità. Le soluzioni adottate dal Manfredini in palazzo Affaitati-Magio o nella chiesa del Foppone evidenziano una maggior aderenza al recupero antiquario di accademica severità con finezze neoclassiche nella citazione di busti di poeti, statue, erme e mascheroni oltre ai tipici motivi architettonici di timpani e lesene ioniche, assenti in questo. Qui tutto è risolto in un doppio sistema di strutture architettoniche che rende la quadratura ancora più dinamica e aperta, nel felice gioco prospettico di piani sfalsati. Il trionfo di queste architetture dipinte. prive di figure, vuote scenografie metafisiche, sono forse il sintomo di una crisi di valori che coinvolge la società, alla fine del secolo, a segnare la fine di un'epoca. Domina al centro del soffitto un enorme sfondato a doppia cupola che si eleva al di sopra delle arcate di un 'finto” loggiato, appena accennato, sul sostegno di un'altra loggia rettangolare a colonne binate ioniche che gira tutta attorno all'ampio perimetro del salone. Il gioco prospettico di questo soffitto è sì risolto in forme classiche ma contenute, allineate al gusto che si andava enunciando di uno stile monumentale d'impianto protoneoclassico, ma in moduli assai meno conclamati che in altre opere della maturità del pittore. Sotto la balaustra della loggia corre un fregio a metope e triglifi mentre sulle pareti si aprono gli arconi con profonde nicchie a cappella che recano, sul fondo, dei basamenti che fan da sostegno a grandi vasi antichi istoriati. Una concezione d'impianto davvero esemplare, risolta in staticità lineare e massiva protoneoclassica ma di grande ariosità e leggerezza, a cui toglie rilievo l'appannarsi, nel tempo, dei grigi che hanno ormai assunto diafane tonalità polverose.
(Sopra il soffitto del salone, sotto nel testo,l'ingresso del Palazzo, quindi, a tutta pagina, la prospettiva dal basso del salone con la libreria) |
Al suo interno, chiuso da una vetrata, sfolgora il monumentale scalone seicentesco a quattro rampe, due brevi e due lunghe, sviluppato in uno spazio che occupa l’intera altezza del fabbricato, accompagnato dalla balaustra in pietra con pilastrini elaborati in raffinate linee barocche. (foto a destra dello scalone e, sotto, decorazione del Natali)
II soffitto è decorato da stucchi fantasiosi con al centro un affresco dell’ancor giovane Giuseppe Natali (1654-1720) proveniente da Casalmaggiore, che in una sala del palazzo affrontava il suo primo esercizio di quadrature a Cremona: tali quadrature sono conservate sotto una controsoffittatura, caduta alcuni anni fa ma di cui se ne impose la ricostruzione. Il dipinto dello scalone, nell’immagine alata con tromba e ramo di palma in mano, raffigura la Fama, la Gloria, con allusione alla storia gloriosa del casato. Sappiamo che il Natali per il suo mecenate. il march. Camillo, dipinse numerose stanze prima che il Magio ne sponorizzasse il soggiorno a Roma e a Bologna per affinare, con lo studio presso i grandi quadraturisti del tempo, le sue innate qualità. Durante la caduta della controsoffittatura fu possibile fotografare le finte architetture decorate dal Natali sul vòlto della stanza: una finta balaustra marmorea dalle linee barocche nei pilastrini e nelle ampie volute, capricciosamente sagomate nello svolgersi nastriforme, dipinte in chiare, delicate tonalità. A lato dello scalone, al piano terra, si conserva un vasto salone dall’aria conventuale la cui soffittatura lignea potrebbe essere riconducibile alla bottega di un grande intagliatore cremonese, Cesare Ceruti (1573-1643). amico anch’egli dei Magio, che, secondo gli storici, avrebbe lavorato nel suo palazzo ad alcune opere lignee e, nel 1635, anche al rifacimento dei cassettoni del piano terra, ove l’impropria definizione dei nostri soffitti a tavolette fra i travicelli scoperti è cosa abbastanza diffusa. Altri bei soffitti lignei con mensole finemente lavorate si trovano in alcune stanze alla destra del portone d’entrata. Sul piano d’arrivo dello scalone si aprono le porte di accesso alla loggia e all’ala di carattere privato: la loggia corrispondente al portico sottostante, venne, purtroppo, manomessa dalla chiusura delle ampie arcate, alternate a lesene binate rigidamente lineari, forse riprese nell’Ottocento, a eccezione di una rimasta a vetrate, alterando gli armonici equilibri di vuoti e di pieni che ne alleggerivano la monumentalità. La galleria introduceva al grande salone dei ricevimenti, finora chiuso all’osservazione, decorato, come altre stanze private del palazzo, da Giovanni Manfredini (1730 -1790). Palazzo Magio resta l’unico esempio cremonese di facciata seicentesca, esempio di come allora fosse consentito agli architetti di esprimersi nella Lombardia dei Borromneo, cioè con un substrato di classicismo e di accadeniismno che comportava una composta gravità delle forme del Manierismo, un manierismo misurato e corretto, evoluto in forme di decoro grandiose ma senza ardimenti. Il Pescaroli continua le forme cinquecentesche opulente con senso di grandiosità, di solennità d’insieme, con amore di luce e di chiarezza nei piani e nelle ampie superfici. La storia dell antichissimo palazzo Magio è ben delineata nel suo evolversi nel testamento del marchese Giovan Clemente del 30 marzo 1700 dove, tra l’altro si rimanda a ” una stanza ossia Museo ò più propriamente Pinacotheca dove ho ridotto dal 1300 in questa parte le immagini dei nostri antenati tanto della linea del marchese Camillo mio padre, quanto di quella del Co. Carlo quanto del marchese Giovan Paolo con le consorti de rispettivi sogetti quasi tutte cavate da originali con quelle cognitioni che ho potuto...”. Nulla sappiamo sulla sorte di questa galleria di ritratti, certo alcuni anche dei nostri migliori pennelli, forse finiti presso i Pallavicino a cui passarono i beni di questo casato quando si estinse, fors’anche venduti dagli stessi. Interessante poi la notizia dei ritratti trecenteschi che confermano l’uso di questo genere pittorico diffuso nelle famiglie della nostra piccola nobiltà.
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